La furbizia che è mancata ad alcuni tifosi di Roma e Brescia
Gli sputi e gli insulti all'arbitro Taylor all'aeroporto di Budapest da parte dei supporter romanisti, il lancio di fumogeni al Rigamonti da parte di quelli bresciani e la necessità di rileggere Achille Campanile
Ai tifosi di Roma e Brescia, che ieri hanno offerto due spettacolini niente male, di quelli capaci di far salire l’indignazione anche alle dita più calme dei social, non va contestato tanto d’essere stati violenti o scalmanati, ma di essere stati sciocchi.
Fu nel 1949 commentando una scazzottata tra i tifosi di Orlando Rondini e quelli di Rodolfo Sorcinelli, dopo una partita parecchio tirata e un filo confusa di pallone col bracciale, che Achille Campanile, scrittore prima che giornalista, colse ciò che nessuno aveva colto né allora, né dopo: “Serve farsi furbi nelle contestazioni, soprattutto quando la contestazione non esclude a priori la violenza. E bisogna essere accorti, scazzottarsi in una viuzza, non in una piazza: i vizi sono privati per definizione”, scrisse sulla Gazzetta del Popolo. Lo sport è un vizio che trascina con sé altri vizi, tipo il tifo. E da lì è una catena lunga, che a volte sfocia in gioia incontrollata, si pensi ai festeggiamenti del Mondiale dell’Argentina o dello scudetto del Napoli, a volte nella violenza. Va così da sempre. Achille Campanile s’era limitato a raccontare la scazzottata in centro a Torino, non l’aveva estesa a colpa di tutti i tifosi del pallone col bracciale, che allora dava gli ultimi colpi di coda di una passione che sul finire dell’Ottocento era stata enorme in molte zone d’Italia, s’era limitato a sottolineare, con la sua solita ironia, che “se proprio ci si deve prendere a pugni, ci vuole un po’ di discrezione, un po’ di silenzio, e avere rapido accesso a ghiaccio e bende”.
La discrezione che forse avrebbero dovuto avere i tifosi della Roma all’aeroporto di Budapest quando hanno aggredito a sputi e insulti l’arbitro che ha diretto la finale di Europa League, l’inglese Anthony Taylor. Che certo non aveva offerto la sua migliore prestazione in campo, che forse qualcosa ha sbagliato e quando ha sbagliato non sempre è stato corretto, ma doveva essere una cosa di campo, di stadio, non certo coinvolgere la famiglia come invece è successo. Perché c'è un limite tra contestazione e aggressione. “Serve farsi furbi nelle contestazioni”, scriveva Campanile, e prendersela con un uomo mentre stringe la mano di sua figlia non è furbo, è deplorevole, pure un po' vigliacco, soprattutto è controproducente per il calcio, per i tifosi e per quella passione che stringe ancora gruppi di persone e li fa sentire parte di un qualcosa.
E non è stato furbo nemmeno lanciare fumogeni in campo, ben vicino ai giocatori della propria squadra, nonostante avesse appena preso un gol sciocco e stesse scendendo in Serie C come non accadeva da 38 anni a Brescia. Non un bel gesto, qualcosa parecchio di cattivo gusto, soprattutto se paragonato agli applausi che la Gelbe Wand, il muro di tifosi del Borussia Dortmund nella Südtribüne del Westfalenstadion, ha concesso ai giocatori nonostante una sciagurata ultima partita che ha fatto scomparire un campionato quasi vinto. “Serve farsi furbi nelle contestazioni” e quanto visto nei minuti di recupero della partita contro il Cosenza ha fatto sì che ripartissero le solite discussioni sulla violenza del tifo, lo schifo di quello organizzato, ecc. che poi si sa che finiranno a parare su quanto bene ha fatto la Thatcher contro gli hooligans, dimenticando poi di sottolineare che più che i manganelli e la repressione è stata la gentrificazione degli stadi a placare scontri e violenze e a rendere gli spalti luoghi tranquilli nei quali poter far prosperare conti e valore economico dei club.
Servirebbe che i tifosi si facessero furbi, che tanto si sa che ci sono i social e lì lo sdegno collettivo diventa imperante. E che soprattutto gli stessi commentatori che commentano il calcio, che sottolineano, ingigantendo a volte, gli errori di arbitri, giocatori e allenatori, sono quelli che puntano il dito poi contro gli stessi tifosi.
Furbi soprattutto a non farsi trascinare nelle contestazioni violente dagli atteggiamenti di uomini di sport che a volte la buttano in caciara, che cadono nella protesta, nella contestazione, nell’attribuzione di colpa agli altri e facendo così, diminuiscono il peso degli errori propri. José Mourinho è il migliore a fare questo, non è l’unico.
È un problema farsi furbi singolarmente in un processo complesso e esplosivo come la massa, soprattutto quando è animata dal tifo per uno sport altrettanto complesso ed esplosivo come il calcio. Però dovrebbero fare uno sforzo, proprio per salvaguardare il loro essere tifosi, la dignità del tifo, di tutto il tifo. Evitare certe cose, far ritornare nella dimensione privata lo scontro che ora è pubblico ed esposto a pubblico ludibrio nei social.