Il Foglio sportivo

Giochi della Gioventù senza retorica

Moris Gasparri

Il Torneo Ravano a Genova (con dedica a Vialli) è un esempio da copiare 

"A Roma abito, a Genova vivo.” Parole di un grande poeta, Giorgio Caproni, da cui vogliamo partire, rivisitandole, per questa tappa genovese del viaggio culturale nell’Italia sportiva. A Roma, più precisamente negli uffici del dipartimento per lo sport della Presidenza del consiglio, da qualche tempo abita un’idea, la resurrezione dei Giochi della Gioventù, creazione del genio onestiano datata 1969, che nei suoi quasi trent’anni di vita seppe diventare un pezzo simbolico, antropologico e sociale importante della cultura sportiva italiana, tanto da essere in seguito divenuta oggetto di costante rievocazione nostalgica, e, in parte, attraverso il lamento della sua assenza, anche strumento giustificatorio pronto-uso per l’analisi di fallimenti sportivi tricolori nelle grandi manifestazioni internazionali. 

 

Tre giorni fa, con la firma di un protocollo interministeriale, il ministro per lo Sport Andrea Abodi ha infatti ufficializzato, a partire dal prossimo anno scolastico, la rinascita dei Giochi, in forme ancora da definire, ma che dovrebbero per il momento focalizzarsi sulle scuole medie inferiori. Riprendendo Caproni, quella stessa idea a Genova non solo abita, ma vive in carne e ossa da molti anni, per l’esattezza al Padiglione B della Fiera Internazionale. Non si chiamano Giochi della Gioventù, si chiama Torneo Ravano-Coppa Paolo Mantovani, ma forme, spirito e modalità sono quelle di un connubio felice tra scuola e competizioni sportive sorprendente alle latitudini italiche, in cui figura tutto quello che dovrebbe esserci nel modello ideale dei Giochi della Gioventù contemporanei.

 

Uno dei luoghi genovesi più amati da Caproni era Piazza Bandiera, al cui centro fa mostra di sé una statua di Enea in fuga da Troia in fiamme con il vecchio padre Anchise sulle spalle, e il figlio Ascanio tenuto per mano. Anche il Torneo Ravano è una faccenda di custodia familiare, coltivata dalle figlie Ludovica e Francesca nei confronti dell’idea che il loro grande padre, Paolo Mantovani, ebbe nel 1985 di regalare alla città un torneo scolastico direttamente organizzato dalla Sampdoria, idea così bella e genuina che nel corso dei decenni è divenuta patrimonio della città tutta, e non solo della sua parte doriana. Fino al 2009 il torneo era riservato solo al calcio, compresa la versione femminile, poi l’apertura a basket e volley, prima della grande svolta polisportiva degli ultimi anni, corrispondente anche a una parallela svolta gestionale in cui l’organizzazione del torneo è passata direttamente nelle mani della famiglia Mantovani, attraverso una fondazione supportata da partner e donatori e dalle istituzioni locali, a partire dal comune, uno sforzo che rende interamente gratuita la partecipazione al torneo. 

È un esercizio caldamente raccomandato a tutte le persone impegnate a vario titolo nell’elaborazione delle politiche educative e sportive italiane quello di passare anche solo mezza giornata affacciati sulla Marina di Genova, zigzagando tra i vari campi allestiti al secondo piano della Fiera per vedere bambini e bambine di terza, quarta e quinta elementare sfidarsi a calcio, volley, basket, rugby, hockey su prato, cimentarsi con le varie prove dell’atletica leggera, gareggiare nel ciclismo, nella scherma e addirittura nella vela. Una magia sensoriale della polisportività, parola-chiave che, sempre in un modello ideale, auspichiamo possa essere il cuore nevralgico dei nuovi Giochi della Gioventù: polisportività come possibilità di cambiare e sperimentare di anno in anno nuove discipline, in questa prospettiva andando molto oltre l’impronta novecentesca che legava i Giochi della Gioventù onestiani all’atletica leggera regina del creato sportivo.

 

I numeri sono notevoli: 5.516 partecipanti, 704 squadre iscritte, e una seconda magia, quella di coinvolgere tutti gli istituti scolastici della città in senso letterale, dagli elitarissimi college privati internazionali alle scuole dei quartieri popolari, in una proiezione espansiva che abbraccia sempre più scuole da tutta la Liguria, e qualcuna anche dal Piemonte. Poi ci sono le regole intelligenti: tutti devono giocare e contribuire, non solo i più versati e i più bravi, e una cornice organizzativa inappuntabile, un caos calmo aperto anche ai genitori, il kit da gioco in omaggio per tutti i partecipanti con tanto di maglia speciale dedicata a Gianluca Vialli, la copertura mediatica artigianale fatta di foto in tempo reale per ogni bambino o bambina in gara, come avviene nei parchi a tema, e ancora laboratori didattici, la mensa gratuita, fino al rito irrinunciabile delle premiazioni. Una cura dei dettagli che è il sale di un evento sentitissimo, un pezzo di cultura e vita cittadina in cui i genitori accompagnano i figli emozionandosi per il ricordo di quando erano i propri padri, ora nonni, a portarli. 

 

Sempre ragionando in tema di politiche pubbliche, c’è un fatto da tenere a mente: lo sport scolastico (che non significa solo educazione fisica) può essere realmente per tutti, mentre lo sport extra-scolastico, dati alla mano, non arriva nemmeno ai due terzi della popolazione giovanile italiana, e questa esclusione silenziosa spesso tiene indietro i più poveri, in un quadro che oggi, a differenza di un tempo, intreccia in un circolo vizioso difficoltà motorie e di apprendimento, sovrappeso e obesità, cattivi risultati scolastici. C’è una storia emblematica raccontataci da Angelo, uno dei collaboratori del torneo, che riassume tutte queste cose, quella di Yassine, bambino con forti difficoltà di inserimento in classe e forti incapacità motorie, che viene convinto a seguire un percorso di preparazione per il torneo di rugby, organizzato nella sua scuola da una società sportiva locale (il torneo non cura direttamente questa parte di avvicinamento alle competizioni, che è affidata allo spontaneismo dal basso nelle varie scuole, a riprova di quanto l’evento sia sentito), per poi partecipare al Ravano e vincerlo, riuscendo nel successo più importante, quello di vincere l’esclusione in classe. 

 

Fare sport serve alla vita e alle capacità scolastiche, come scriviamo da tempo sul Foglio Sportivo, e l’agonismo divertente, non quello ossessionato, serve all’educazione di bambini e bambine. Per tutti questi motivi l’idea di riportare in vita i Giochi della Gioventù è importante e meritoria, e auspichiamo possa nascere un dibattito sul come. Certo, con la lente del disincanto viene da chiedersi se i nuovi Giochi “abiteranno” o “vivranno”, se la giungla burocratica e la coabitazione fra mondi istituzionali così diversi come quelli della scuola e dello sport saprà partorire un evento a misura di generazione Alpha, capace di lasciare realmente il segno nella cultura sportiva italiana dei prossimi decenni. Viene anche da chiedersi se la chiave non sia esportare direttamente il torneo per farlo fiorire in ogni regione d’Italia, ben sapendo che il suo successo sta nel suo appartenere a una storia familiare e cittadina particolare, specchio dell’Italia plurale delle cento città, e quindi difficile da replicare nella nazione troppo lunga, come scrissero i viaggiatori arabi nel basso Medioevo. Possediamo però una certezza: per pensare le politiche sportive del futuro bisogna passare da Genova.
Moris Gasparri

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