Il bel gioco di Italiano è solo un premio della critica. La sconfitta della Fiorentina vista dal Franchi
L'allenatore ha avuto il merito di aver centrato due finali. Le sconfitte contro l'Inter e contro il West Ham ieri in Conference League dicono che c'è ancora molta strada da fare. Viaggio in uno stadio pieno senza partita
Non si devono mai fare complimenti agli sconfitti. La Fiorentina ha perso la seconda finale nel giro di poche settimane, con lo stesso risultato e con lo stesso rammarico. La retorica sulla squadra che avrebbe meritato di più è sterminata, probabilmente è una via più facile per raccontare una stagione lunga ben sessanta partite. Una delle espressioni più abusate è quella del ‘sogno spezzato’, niente di più lontano dal cinismo del calcio. Il gioco del pallone non è un pensiero astratto, può essere ingiusto, ma dichiara un vincitore senza prove di appello.
Se la vittoria dell’Inter razionalmente stava nella logica del più forte, quella del West Ham segue lo stesso percorso. Non bisogna guardare la classifica della Premier League per usare il bilancino su chi fosse il favorito ieri a Praga, il campionato inglese è assai più ricco e permette di avere giocatori che sbloccano una partita anche alla squadra più scarsa del gruppo. Come è successo ieri.
In Italia è diverso, specie in piazze come quella di Firenze. Dire che la Fiorentina gioca bene è facile, quanto opinabile, di sicuro Italiano ha avuto il merito di aver centrato in due anni obiettivi che sembravano essere lontani nella mente dei tifosi. Certo, diranno i cinici, il solo gioco non regala trofei e le bacheche si riempono con le vittorie nelle gare decisive. Tutto vero.
Una città allo stadio per una partita che non c’è
Il tifoso a tutto questo non pensa. Fa bene così. Firenze non è la sola città che vive senza soluzione di continuità il rapporto con la propria squadra di calcio. Firenze però non è grande come Napoli o Roma. In realtà pensa di esserlo, questa cosa la rende perfino antipatica a chi non ha mai avuto tempo di conoscerla, anche se a pensarci bene è una contraddizione in termini per una città conosciuta in tutto il mondo e che si sente internazionale. Una doppia dimensione che si poteva respirare ieri: gran parte dei fiorentini aveva qualcuno da chiamare a Praga in quella che sembrava una delle tante gite del Liceo fatta da mezza città. Era già successo nelle trasferte primaverili di Cremona e Roma, si è ripetuto lungo la Moldava. La triste novità è stata la presenza di qualche imbecille, invero troppi, che ha preferito usare la violenza invece della tagliente lingua dei fiorentini, ma di loro si occuperà la polizia ceca.
Chi non è partito, amici permettendo, si è dato appuntamento allo stadio tanto che, alle 21, il Franchi era pieno come per una gara di cartello nonostante si giocasse a oltre mille chilometri di distanza. Tutto quel che era successo fino a quel momento non esisteva più: con il fischio d’inizio sono scomparse le polemiche sui maxischermi (che poi c’erano) e sul biglietto d’ingresso. Sembrava tutto pronto per una festa. I più anziani ricordavano una simile notte nel 1996, con la Fiorentina che vinse la Coppa Italia a Bergamo, ma da allora sono cambiate molte cose tranne una. Coloro che hanno visto arrivare un trofeo a Firenze sono invecchiati, mentre un’intera generazione non ha mai avuto questa soddisfazione. Per capirlo bastava guardare le maglie indossate sugli spalti: c’è chi aveva la casacca di Mario Gomez, chi quella di Giuseppe Rossi, altri addirittura quelle di Edmundo e Batistuta, per non dire di Salah, tutti protagonisti di storie diverse che hanno sempre regalato meno soddisfazioni rispetto alle speranze.
Perché la Fiorentina vince (e perde) con Italiano
La delusione non è la sola protagonista, una sconfitta ricorda più di una vittoria perché Firenze fu la città dei guelfi e dei ghibellini.
Dopo il triplice fischio finale i commenti dei tifosi erano già divisi tra due narrazioni in contrasto. Entrambe con le proprie verità, entrambe con le proprie distorsioni.
Il dato di fatto è che i viola sono l’ottava forza in campionato, una posizione che rispecchia al meglio il compromesso tra una rosa che vorrebbe essere qualcosa di più e un gioco che effettivamente dà qualcosa in più. Il punto è tutto qui. Anche quest’anno Vincenzo Italiano, alla vigilia della primavera, era riuscito a trovare la quadra di un gruppo che è riuscito a sfruttare al meglio le opportunità arrivate nelle varie competizioni: da un lato la Coppa Italia, dall’altro il campionato in una rimonta iniziata a Verona, infine la Conference League. La squadra ha sbagliato molte cose, sempre le stesse cose diranno nuovamente i cinici, ma questa Fiorentina gioca così. Perde in casa con il Basilea, rimonta in Svizzera enfatizzando i propri limiti e le proprie peculiarità da cardiopalma. Ama giocare così. Nei giorni scorsi Ikoné, uno dei giocatori più talentuosi, ma anche uno che più disatteso le aspettative tanto da non giocare la finale, ha raccontato all’Equipe che gli piace Firenze (e chi non?) e il gioco del mister. Insomma, ha detto, qui si diverte e resterà sicuramente se ci sarà ancora Italiano o qualcuno che gioca come lui.
Già, il gioco di Italiano. Le cronache sportive raccontano ossessivamente dell’errore al novantesimo, ma la cosa più difficile è dover ammettere che sul rinvio di Terracciano fosse giusto avere la difesa così alta. Siamo un mondo che vive di screenshot, più facile condividere l’istantanea di un’immagine che un video di qualche secondo. Non sono mancati gli errori, per carità. Magari qualcuno avrebbe immaginato Nico Gonzalez protagonista, la sensazione è che senza questa tipologia di gioco non si sarebbero visti questi risultati (e queste sconfitte). Dire chi ha sbagliato cosa è facile, ancora più semplice parlare di sfortuna (il fuorigioco di Jovic era più fisiologico che voluto, idem il fallo di mano per il rigore dell’1-0) ma l’unica cosa da evitare sono i complimenti. Uscire sconfitti è una realtà, una finale non ha mezze misure. Il premio della critica è un riconoscimento accessorio, non si mette in bacheca.