Il Foglio sportivo
“Ho Meroni sempre nel cuore”. Fabrizio Poletti compie 80 anni
L'ex calciatore di Torino e Nazionale racconta il suo calcio dalla Costa Rica, dove vive da più di trent'anni. Dalla perdita del suo migliore amico alla direzione sportiva del Deportivo Saprissa
Sono venuto la prima volta in Costa Rica nel 1991 per il progetto di un centro sportivo che non si sarebbe mai realizzato. Ero ospite di Cristiana, che gestiva già da qualche anno un bellissimo villaggio turistico sul Pacifico. L’estate successiva mi trovavo a Cagliari a giocare una partita con gli ex compagni di squadra, quando ricevetti una telefonata dal Deportivo Saprissa che mi voleva offrire un posto di lavoro come direttore sportivo e responsabile del settore giovanile. Da quel momento vivo qui, mi sono risposato con Mariza e provo a tornare in Italia una volta all’anno”.
Fabrizio Poletti, ex calciatore di Torino e Nazionale, compie ottant’anni il prossimo 13 luglio e da più di trenta vive a San Josè, la capitale del paese. “Qui ho trovato la pace – racconta – ogni mattina vedo il sole, abito a settecento metri d’altitudine, non c’è il caldo della pianura, due ore d’auto e posso vedere il Pacifico o l’Atlantico, ma anche l’interno con i suoi boschi, i laghi e le cascate è fantastico. Io sono una persona socievole di natura e mi sono adattato subito, anche se in Costa Rica gli stranieri non hanno vita facile, qui sono molto nazionalisti e spesso non li sopporto, ma non ho mai avuto problemi. Cristiana fa sei mesi in Costa Rica e altrettanti in Italia, in pratica vive perennemente in estate. Gigi lo teniamo sempre nel cuore e lo ricordiamo ogni volta che vado a cena da lei”.
Cristiana Uderstadt è stata il grande amore di Gigi Meroni, l’amico fraterno di Poletti. Classe 1943 sia Gigi che Fabrizio, compagni di squadra al Toro, sono stati inseparabili fino a quella maledetta domenica del 1967, quando dopo una partita di campionato vennero travolti da un’auto in corso Re Umberto. Meroni morirà, gettando il popolo granata di nuovo nello sconforto dopo Superga, mentre Poletti ne uscirà lievemente ferito. “Quante ne abbiamo fatte io e Gigi, in quei tre anni. Lo coprivo perché potesse vedersi con Cristiana. Di notte andavamo a Genova, poi rientravamo alle 10 di mattina da Nereo Rocco, che allora era l’allenatore del Toro, guidando a 180 chilometri all’ora. Cose da pazzi. Gigi era straordinario: per educazione, gentilezza, cultura, intelligenza. Le aveva tutte le bontà possibili, è stato un grande amico e il mio testimone di nozze nel 1965. Le cose più fuori dal mondo, le abbiamo fatte io e lui, potrei scrivere un libro ma solo per conservare la sua memoria”. Un capitolo sul Mondiale in Messico andrebbe sicuramente messo. Poletti giocò i supplementari di Italia-Germania 4-3: la partita del secolo secondo una targa posta sul muro dello Stadio Azteca dove si disputò la semifinale. Poletti entrò al minuto 91 al posto di Rosato. Del cambio non se ne accorsero né il telecronista Rai Nando Martellini, né l’attaccante tedesco Gerd Müller, che pochi minuti dopo si infilò tra lo stesso Poletti e Albertosi. La sfera rimbalzò sul corpo del difensore, mentre il portiere tardava a uscire. Poletti provò a salvare, ma era troppo tardi. In tribuna stampa alcuni giornalisti annotarono tra i marcatori Müller, altri l’autogol dell’italiano. La Germania Ovest passò avanti 2-1. L’Italia riuscirà ad arrivare in finale, ma Poletti nella sconfitta con il Brasile non scenderà in campo. “Il Mondiale è il sogno di tutti i giocatori. Per Valcareggi io ero la prima riserva di tutti i quattro difensori, potendo giocare sia a destra che a sinistra. Nell’ultima amichevole pre-Mondiale giocai debilitato per via della maledizione di Montezuma e così all’esordio non ero in panchina. Si fa male Niccolai, entra Rosato che farà un torneo strepitoso. Roberto era un furbacchione e al novantesimo della semifinale simulò un dolore alla caviglia che scomparve magicamente tre giorni dopo per la finale. Io non mi aspettavo di entrare, sono stato buttato dentro senza scaldarmi e tra Müller e Grabowski non sapevo mai chi prendere. Rimangono quaranta giorni bellissimi, ne abbiamo fatte di tutti i colori”.
Il terzo portiere Lido Vieri, a cui Valcareggi aveva lasciato particolari libertà, stette per due settimane con una splendida ragazza messicana di nome Graciela. “Beh, anch’io sono stato fortunato sotto questo punto di vista – svela Poletti – ci sono stati alcuni giorni di libertà. Ricordo ragazze brasiliane di una bellezza allucinante con delle minigonne da spavento che arrivavano davanti al nostro hotel a bordo di quelle macchinette da spiaggia. C’era l’imbarazzo della scelta”. Giorgio Lago sul Gazzettino di Venezia scrisse appena conclusa la partita del secolo: “Poletti, il giocatore meno concentrato dei 22: autografi, piscina e sorrisi. Non gli riesce un tackle che sia uno. I suoi compagni hanno fatto incetta di sombreri, lui ha preso uno stock di costumi da bagno a un prezzaccio. È al quinto gettone in Nazionale. Non ha ancora 27 anni, gioca nel Toro da una vita e tre anni fa ha subito un lutto non da poco. Era insieme al suo migliore amico Gigi Meroni, quando un’auto li ha travolti, uccidendo la farfalla granata. E chissà se tra i convocati ci sarebbe stato posto anche per lui”. È sceso dunque in campo distratto da tutte queste avventure fuori dal campo? “No, mi fermai appena iniziò il Mondiale”. Oggi la sua casa in Costa Rica è piena di cimeli del suo passato calcistico. La maglia granata del Toro e quella bianca della Nazionale. Poi le foto con Meroni, Rivera, Pelè, Riva, le sue figurine Panini. In tv guarda ancora le partite del calcio italiano. Con un occhio di riguardo per la maglia granata… “Macché, mi hanno mandato via in malo modo da calciatore e non mi hanno neppure invitato al centenario del club, io che ho fatto nove stagioni con il Torino. Arrivai nel 1961 come ala destra e mi mandarono in prestito all’Asti in Quarta Serie. L’allenatore mi trasformò in un terzino che attaccava la fascia. Al Toro faticai a impormi in questo ruolo sotto la guida di Rocco, che non voleva superassi la metà campo, io lo facevo comunque e tra i due tempi mi arrivano certe zoccolate addosso. All’inizio ho pagato il noviziato, allora i giovani dovevano saper aspettare. Io ho giocato prima con Enzo Bearzot e poi con Cesare Maldini, erano già avanti con gli anni e lenti come lumache. Il nostro portiere Vieri urlava di affrontare gli attaccanti e loro indietreggiavano fino alla porta. Che ridere! Io ho marcato Gento, Riva, Prati, Barison, Corso, Chiarugi, ma soffrivo molto Menichelli della Juventus. Ero sempre il sacrificato per andare sul più pericoloso. Ero veloce, facevo entrate dure ma sempre cercando la palla. Burgnich per esempio ti massacrava, piede o palla”.
Tre giorni dopo la tragedia di Meroni, il Toro scese in campo contro la Juventus. Poletti aveva ancora male a una gamba per via dell’incidente, ma non volle mancare al funerale laico del suo migliore amico. I granata vinsero 4-0 e “non è vero che la Juventus ci lasciò la partita!”.
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