Il Foglio sportivo
Cent'anni di Le Mans, molto più di 24 ore
È la gara preferita da Hollywood. Dopo 50 anni ritorna la Ferrari e scatta davanti a tutti
Cent’anni di Le Mans possono valere un romanzo, un film hollywoodiano oppure una di quelle serie tv che oggi vanno così di moda. Dentro ci trovereste qualsiasi ingrediente. Gioia e dolore. Amore e morte. Tecnologia e artigianato. Milionari e squattrinati. Tutto shakerato con un’infinita dose di passione. Correre per 24 ore di fila è un’idea folle di per sé. Farlo a più di 220 chilometri orari di media è decisamente da pazzi. Eppure ogni anno c’è la coda di gente che vorrebbe esserci. “La mia corsa è immortale”, disse un giorno Charles Faroux, il padre della 24 Ore. Ma Le Mans è soprattutto sopravvivenza. Dei piloti e delle auto che da nessun’altra parte stanno in tiro per così tanto tempo. C’è chi la paragona a Woodstock perché oggi che andiamo verso l’elettrico la musica dei motori è molto rock. C’è chi vi rivede un’enorme Disneyland perché non esiste un parco giochi per adulti migliore di questo. Può capitare di vedere Juan Carlos, quando ancora era re, onorato e rispettato, scendere da una Bentley e inseguire il magico rombo di una Porsche fino ai box, facendo impazzire etichetta e uomini della sicurezza. Si possono incontrare Steve Mc Queen a girarci un film (avrebbe anche dovuto correrla con Jackie Stewart, ma i finanziatori del film si opposero), Paul Newman a correrla sul serio e piazzarsi pure al secondo posto, Patrick Dempsey, la star di Grey's Anatomy a parteciparvi quattro volte, Nick Mason, il batterista dei Pink Floyd, grande collezionista con un garage di tutto rispetto, a gareggiarci cinque volte. Hollywood ha sempre guardato a Le Mans con un occhio di riguardo fino a realizzare La Grande sfida, il romanzo della sfida Ferrari-Ford del 1966 arrivato a vincere due Oscar nel 2020. E non è un caso che a dare il via all’edizione del centenario sia stato chiamato LeBron James, uno che con le auto nulla ha a che fare, ma che nel basket qualcosa ha combinato. Una scelta a dire il vero un po’ bizzarra, molto americana.
Gli anni Settanta e ancora prima i Sessanta sono quelli che hanno reso mitica la 24 ore. Ferrari contro Ford. Ferrari contro Porsche. Ferrari contro Matra. Ferrari contro Alfa Romeo. Prima dell’era Porsche, di quella Audi e ora di quella Toyota. Ancora una volta ad aggiungere pepe c’è il Cavallino che dopo 50 anni torna in pista con due Hypercar per puntare alla vittoria assoluta. Se la Porche, con le sue 19 vittorie, è la regina incontrastata di Le Mans, la Ferrari con i suoi 9 successi ha contribuito ad alimentarne il mito prima di andarsene e partecipare soltanto nelle altre classi (vincendo 29 volte). La grande storia di Le Mans la scrivono i piloti ufficiali con auto che sembrano astronavi, bellissime e quasi perfette. Ma la vera storia della 24 ore la scrivono anche tutti quei gentleman driver che magari guidano una carretta rimessa in sesto per l’occasione. In pista per 24 ore trovate di tutto: è il bello e anche il brutto di una corsa dove c’è una differenza infinita tra chi corre per vincere e chi solo per partecipare. I vip fanno colore, i gentleman driver fanno sostanza un po’ come i piloti veri che non resistono al fascino della 24 ore. Fernando Alonso ci ha fatto tappa, vincendola due volte, mentre inseguiva la triplice corona. Valentino Rossi si sta attrezzando per arrivarci un giorno e quest’anno si accontenta di partecipare in una gara di contorno. Il re di Le Mans è il danese Tom Kristensen, mr. Le Mans, con 9 vittorie, tre in più di Jackie Ickx, quattro in più di Emanuele Pirro, il signor Le Mans. “Le Mans è qualcosa di speciale. Cominci a prepararla mesi prima. Senti la storia e la cultura di questo posto, ne respiri la passione – racconta Kristensen – guidare di notte a Le Mans è la cosa più affascinante. Ti fa aumentare il battito, tutto sembra più veloce. Il cuore viaggia più rapido, la concentrazione è più alta. Quasi arrivi a non sbattere le palpebre, non vedi i punti di corda, cerchi di sfruttare la tua conoscenza del circuito, quello che hai imparato durante il giorno. Provi a frenare nel punto giusto cercando la temperatura ideale di gomme e freni perché sono fondamentali per essere veloci durante la notte. Quando sei vicino a qualcuno, i suoi specchietti riflettono la luce dei tuoi fari, diventa fastidioso. Può diventare un incubo. Il momento più bello per me è quella che chiamiamo l’happy hour, il sorgere del sole. Allora ricominci davvero a vedere quello che stai facendo e se all’alba, hai ritmo, hai un’auto veloce, non c’è nulla di meglio. Per vincere a Le Mans non ci sono scorciatoie. Devi essere preparato fisicamente e mentalmente. E lo devi essere giorno e notte per 24 ore di fila”. Il sonno non lo senti. L’adrenalina ti tiene sveglio. La chimica ti dà una mano. Ma non esiste il doping, sarebbe troppo rischioso a 300 all’ora. Ci sono più di 5 mila chilometri da percorrere (5.383,455 km il record nel 2015), tre uomini d’equipaggio, centinaia di doppiaggi a cui fare attenzione. I piloti iscritti sono 186, divisi in 62 auto (il 75 per cento monta impianti frenanti made in Italy by Brembo che è Braking Technology Provider dell’evento).
L’edizione del centenario ha una ciliegina rossa, grossa come un cocomero, sulla torta. Dopo 50 anni torna in pista nella massima categoria la Ferrari. L’ultima partecipazione nel 1973, l’ultima vittoria nel 1965. Il ritorno a Le Mans con la Hypercar 499P è la miglior idea del presidente Elkann che si è affidato ad Antonello Colletta, un uomo che può rappresentare il futuro del Cavallino. Due vetture ufficiali, sei piloti (Alessandro Pier Guidi, James Calado e Antonio Giovinazzi sulla numero 51, e Antonio Fuoco, Miguel Molina e Nicklas Nielsen sulla 50), la Toyota che la vince da 5 anni di fila da battere. Nelle prime gare del campionato Wec la Ferrari è sempre andata sul podio. Le due 499P scatteranno davanti a tutti dopo aver monopolizzato la caccia alla Hyperpole con la #50 di Fuoco davanti alla #51 di Pier Guidi. In una corsa lunga 24 ore conta nulla, se non per il marketing, l’albo d’oro e la gloria effimera. Ma almeno qui, rispetto a questo malandato 2023 in Formula 1, si può sognare.