Il Foglio sportivo
Soltanto il City può strappare la Champions League al City
Il calcio in una partita secca è un altro sport e l’Inter di Simone Inzaghi può sognare se riesce a restare in gioco fin che fa male
Con un richiamo esplicito a una delle massime più significative del biennio interista di José Mourinho, Federico Dimarco non ha solamente confermato che sarà il più nerazzurro tra quelli in campo nella notte di Istanbul, ma ha involontariamente indicato quello che sembra essere l’unico apparente punto debole di una corazzata inscalfibile. “Per noi vincere questo trofeo è un sogno, per il Manchester City è un’ossessione”, ha detto riportando di colpo gli interisti al 2010 e alle notti vissute con l’ansia di non riuscire a superare il Barcellona: anche quella volta, alla vigilia di una semifinale che aveva davvero il sapore della finale anticipata, dall’altra parte c’era Pep Guardiola. Quella che abbiamo visto in azione quest’anno è una creatura praticamente perfetta, forse l’opera più compiuta del genio catalano, che ha richiesto un lavoro ben più complesso rispetto a quello che era stato necessario per mostrarci quell’irripetibile Barcellona. L’unico rivale del City sembra dunque essere il City stesso: l’ossessione per la vittoria da parte della proprietà, dell’allenatore e dei calciatori che diventa rischio, minaccia, terreno scivoloso.
Non sembrano esserci punti deboli, nella formazione inglese. Quello che da molti veniva interpretato come un potenziale punto interrogativo a inizio stagione, e cioè la coesistenza tra un allenatore che per anni aveva predicato l’importanza dello spazio come centravanti, e l’arrivo di un colosso come Erling Haaland, è stato derubricato a sciocchezza nel breve volgere di qualche settimana: la domanda non aveva ragione di esistere. Lo dimostrano non solo i numeri spaventosi del gigante norvegese, ma anche la sua capacità di incidere senza segnare: è rimasto a secco nella doppia sfida con il Real Madrid, per esempio, eppure il City, nella gara di ritorno, ha dato l’impressione di poter esondare minuto dopo minuto, costringendo Courtois a una delle più incredibili prestazioni personali mai fornite da un portiere in uno scenario simile. Peccato, per il Real, che sia servita solamente per evitare di tornare a Madrid con un passivo spaventoso in una notte da tregenda. La sola presenza di Haaland mette in allarme le difese, come fosse una pistola con il colpo perennemente in canna: il livello di attenzione non può calare e questo non fa che concedere spazi a tutti gli altri, da Bernardo Silva a De Bruyne, da Gundogan a un Grealish passato nel giro di un anno da insolente a emblema di continuità. Sembrerebbe anche superato uno dei difetti storici di Guardiola, quell’overthinking di cui è stato spesso accusato: la tendenza a voler strafare, a cercare soluzioni complesse nel momento meno opportuno, la voglia di provare a controllare anche l’incontrollabile. Il nuovo Guardiola pare più sereno, più zen, meno maniacale pur rimanendo alla ricerca di una perfezione che mai è parsa vicina come stavolta.
L’Inter dovrà mettere in pratica un gioco di resistenza, da intendere non come difesa a oltranza, perché sarebbe deleterio, bensì come resistenza mentale e finanche fisica: essere sempre presente, proporsi nei limiti del possibile, aggirare le trappole che Guardiola e i suoi ragazzi sanno disseminare in ogni angolo del campo, anche quelli meno in vista, e affrontare i duelli che inevitabilmente Haaland metterà in scena con i centrali. Sarà fondamentale un lavoro pulito e ponderato nell’uscita del pallone: la fase di riconquista del City, se possibile, è addirittura più temibile di quella in cui è in controllo della sfera. Restare in partita, dunque, fin quando fa male, fin quando ce n’è, come suggeriva una trentina di anni fa, seppur con altri orizzonti, Luciano Ligabue da Correggio, interista sfegatato. Provare a mangiare minuti all’avversario servirà a eroderne le certezze, ad alimentare i dubbi, a far macerare quell’ossessione che il City si porta dietro per il peso di un pronostico che raramente è parso così sbilanciato alla vigilia di una finale di Champions. Inzaghi dovrà ricordare ai suoi che il calcio in gara secca è quasi un altro sport e che i ribaltoni sono esistiti anche in partite del genere, basti pensare alla Juventus di Lippi che venne schiaffeggiata dal Dortmund di un crepuscolare Kalle Riedle o alla resistenza stoica del Chelsea nella tana del Bayern Monaco, con Drogba mattatore in campo e Roberto Di Matteo in panchina: far germogliare il seme del dubbio è la via da percorrere.
Nella freschissima finale di FA Cup, il Manchester United ha provato a rimanere aggrappato alla partita con le unghie, ingabbiando Haaland nei limiti del consentito e finendo, in maniera quasi fisiologica, esposto alle rasoiate di Gundogan. In un finale di gara più equilibrato del previsto, la squadra di Ten Hag è andata a un passo dal pareggio con un mischione furibondo su palla inattiva. Un’altra indicazione preziosissima per Inzaghi e il suo staff, che da inizio anno ha saputo sfruttare al meglio le palle inattive. Le finali si risolvono anche con i dettagli e le partite, persino le più sofferte, possono girare con un piazzato: dal già citato Chelsea 2012, capace di convertire in gol con Drogba l’unico corner battuto in una serata in cui il Bayern ne aveva calciati 20, all’irripetibile doppio colpo del Manchester United, sempre contro i bavaresi, nel recupero della finale del 1999.
Se l’Inter riuscirà a giocare libera, a sporcare un po’ la partita, a renderla fangosa, allora potrà darsi una chance, portando il City su un terreno che potrebbe trovare sgradevole. Una volta, parlando di Romario, Jorge Valdano disse che il calcio è soprattutto inganno: Lautaro e gli altri dovranno far loro anche questa massima, lasciando che gli inglesi si sentano al riparo da ogni minaccia per poi provare a colpirli, ben sapendo che sarà difficile. Chi ha fatto le carte di questa finale, per dirla con le parole di un Principe abbastanza lontano da quello argentino che ha consegnato alla bacheca interista l’ultima Champions, ha chiamato il City vincente. Toccherà all’Inter provare a stracciarlo con la fantasia.
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