Il Foglio sportivo - Il ritratto di Bonanza
Matteo Berrettini, sedotto e scaricato
Il giocatore che ha rappresentato per mesi l’Italia della bellezza è in crisi. Un invito a non mollare e incamerare energia positiva in vista del riscatto
Non si gioca a dadi con i sentimenti! Ci vuole rispetto, umanità, volontà di comprensione. Come si può essere implacabili nel giudizio, di fronte a chi piange per una sconfitta! Le lacrime di Matteo Berrettini nel momento del saluto alla folla dopo aver perduto un’altra partita, per di più contro un amico, l’italiano Sonego, meritano una modesta (nel senso di umile) riflessione su come lo sport rappresenti, oltre che la forza, l’esplosione della vita, anche la sua inevitabile debolezza. Chi siamo noi per giudicare un ragazzo che non trattiene l’emozione e piange, di fronte al mondo, come un bambino che non conosce la vergogna, perché non trova più la forza, o meglio la spinta, l’ispirazione, per tornare al successo?
Come in una drammatica rappresentazione teatrale, Matteo scoppia in lacrime esattamente nel momento in cui lo speaker, con una frase secca, ricorda che se ne va dal campo, sconfitto, il campione in carica. Sono state quelle parole a far piangere il nostro giocatore, improvvisamente nudo davanti al ricordo del trionfo che fu, oppure il timore del giudizio, le solite chiacchiere da social, dove non si risparmia ormai più nulla, convinti di potersi consolare delle nostre povere esistenze con le disgrazie altrui?
Difficile dare una risposta, probabilmente entrambe le cose, ma non è questo il punto, perché siamo noi il punto. Berrettini, alto ed eretto come un bronzo, l’immagine della forza e della certezza, ha rappresentato per mesi l’Italia della bellezza, con un sorriso che sapeva di sincerità e di bontà. Ci siamo vantati di lui, lo abbiamo usato per darci delle arie abbattendo le nostre debolezze con colpi definitivi come il suo servizio che non ha mai dato scampo a nessuno.
Adesso che abbiamo scoperto che di un uomo si tratta, esattamente come noi, lo stiamo mollando al suo destino, con addosso perfino un pizzico di sprezzante soddisfazione. Nessuno che abbia ricordato le difficoltà fisiche che il giocatore romano è stato costretto a superare in tutti questi mesi. Nessuno che abbia messo sulla bilancia ciò che ha fatto, tornei vinti e una finale Wimbledon, piuttosto che quello che non riesce a fare adesso. Ed è per questo che vorrei scrivergli una lettera (ops lo sto già facendo) nella quale lo invito a non mollare, a rilasciare lentamente la rabbia, come un respiro lungo, e incamerare energia positiva in vista del riscatto. E se ha commesso degli errori (e certamente li ha commessi), perdonarsi subito e poi usarli come un bastone sulla testa di chi lo vuole morto. Si legga Alan Bennett, strepitoso intellettuale, che aveva il dono di volare leggero anche sopra il dolore.