A Lecce Pantaleo Corvino ha chiuso un cerchio iniziato 20 anni fa. Ora il nuovo
La salvezza in Serie A, la vittoria nel campionato Primavera e i tanti giovani lanciati. La prossima stagione parte con nuove scommesse: la prima è rilanciarsi rilanciando Roberto D’Aversa in panchina
Nei festeggiamenti immediatamente successivi alla vittoria del campionato Primavera, una delle prime dediche del presidente del Lecce, Saverio Sticchi Damiani, è andata al direttore sportivo dei giallorossi, Pantaleo Corvino. Sticchi Damiani ha precisato quanto Corvino ci tenesse a raggiungere un risultato del genere, al culmine di un progetto triennale iniziato al ritorno in Salento nel 2020. Nella trionfale notte di Reggio Emilia, però, Corvino non era presente a festeggiare con la sua squadra, così come non era a Monza nel giorno della prodigiosa salvezza ottenuta sul gong: da tanti anni ormai Corvino frequenta pochissimo lo stadio, lui sostiene a seguito di un Fiorentina-Torino che mise a dura prova le sue coronarie. Il dirigente di Vernole è una di quelle rare personalità che riesce a far pesare e dare significato alla sua assenza quanto alla presenza: nel titolo nazionale raggiunto con il gol di Hasic al minuto 119, così come nella salvezza capolavoro raggiunta col monte ingaggi più basso della Serie A, la sua firma è evidente.
Corvino è rinomato per le sue doti di talent scout, che da oltre vent’anni lo rendono uno dei direttori sportivi italiani di culto: difficile dire di più su questo, sulla sua capacità di scovare il talento. Ci tiene a specificare di non essere un esterofilo, ma di puntare a fare del proprio meglio con i budget a propria disposizione, che spesso lo portano alla scoperta, "a viaggiare, prendere treni e aerei" come ha detto nella conferenza stampa fiume di fine stagione in cui si è tolto più di qualche sassolino dalla scarpa. Di sicuro è una qualità che è riuscito a rinnovare nel corso degli anni: se prima il suo terreno di caccia prediletto era l’Est Europa, oggi, a eccezione della colonia rumena (4 colonne della Primavera provengono da lì, tra cui il capocannoniere Burnete e il mediano Vulturar), ha alzato il tiro verso Nord: al Lecce si è formato un folto fronte scandinavo, grazie anche alla consulenza di Fabrizio Bertuzzi, esperto di calcio nordico scovato da Corvino ai tempi di Firenze e portato con sé a Bologna e Lecce. Sul territorio italiano, invece, la sua ombra è Stefano Trinchera: tanta gavetta nelle categorie minori, tra Virtus Francavilla (dove scovò Nzola), Cosenza (tre salvezze consecutive in B a budget ristretto) e il primissimo Lecce di Sticchi Damiani. È lui che monitora le serie minori, alla ricerca di altri colpi come Baschirotto, profilo che rappresenta alla perfezione l’anima bucolica e umile di questo Lecce. Corvino l’ha eletto suo erede e lo sta seguendo nel processo di successione.
In questa fase della carriera, Corvino ha assunto il ruolo di supervisore: osserva tutto, coordina le varie componenti, tiene botta. È conosciuto come talent scout, dicevamo, ma le sue qualità da gestore sono spesso sottovalutate: ha la sicurezza di chi crede nelle proprie decisioni e vuole farle crescere nell’ambiente giusto. Nella stagione culminata con la salvezza, in più di un’occasione avrebbe potuto sostituire Baroni: succede spesso alle squadre neopromosse, che peccano di inesperienza e sostituiscono l’allenatore della promozione. Corvino non è caduto nel tranello: ha trasmesso fiducia al proprio allenatore, anche nei momenti più delicati. Gli ha dato responsabilità, un concetto chiave per Corvino nella costruzione delle sue squadre, soprattutto con gli allenatori. Quando, nel 1999, scelse Cavasin alla guida del Lecce in Serie A (all’epoca il tecnico trevigiano era un esordiente nella categoria) lo lasciò solo per tutto il tempo del ritiro, andando nel frattempo in giro a cercare di chiudere trattative. Cavasin, legittimato da tale investitura, si ritrovò a gestire diverse situazioni di difficile gestione con i propri giocatori, che lo fecero crescere come tecnico: Corvino gli rimase vicino per tutto il tempo per il confronto telefonico, ma stava a lui prendere di petto il gruppo.
Questo Lecce è fiorito sotto gli stessi presupposti: Corvino ha vinto la sua grande scommessa, cioè quella di vedere Baroni oltre il ruolo di allenatore “di categoria” che si era ritagliato negli anni. Ha saputo offrirgli la giusta dimensione, sulla quale è stato bravo il coach fiorentino a non affogare mai. La stagione dei salentini, paradossalmente, è nata sulla scia di parecchie delusioni di mercato incassate la scorsa estate: il mancato ingaggio di Normann per via di un inghippo burocratico riguardante il conflitto russo-ucraino; l’arrivo di Ferguson, sfumato all’ultimo minuto in favore del Bologna; il secco rifiuto di Maksimovic. Da ognuna di queste scoppole, Corvino ha saputo rimediare in vario modo: ne sono dimostrazione il capolavoro Umtiti, arrivato nello scetticismo e partito tra le lacrime dopo una stagione da colonna difensiva, la notevole crescita di capitan Hjulmand, scudiero danese di adozione salentina proiettato verso il grande calcio, e la scoperta di Joan Gonzalez, box-to-box scuola Barcelona di cui non abbiamo ancora visto il meglio. Tutte, a modo loro, sfide che Corvino ha vinto: con una punta di orgoglio, sente alcuni giocatori come rivalse personali (tra i tanti, ricorda spesso il rilancio di Cristiano Lucarelli, che non giocava da due anni e "mangiava polpette e pasticciotti").
Al di là dei nomi, del gioco pur encomiabile (un 4-3-3 dalla spiccata verticalità, troppo spesso spuntato davanti ma solido difensivamente), il Lecce ha sorpreso in questa stagione per la maturità mostrata dall’ambiente tutto: mai uno spiffero, mai polemiche o episodi fuori posto a scombussolare l’ambiente. Una salvezza che la squadra ha conquistato passando attraverso le contestazioni del tifo, più o meno legittime, che spesso prendevano di mira proprio Corvino: lui non si è smosso di un centimetro. “L’orso”, come lo ha definito chi lo conosce, con la sua esperienza ha compattato un gruppo giovane, il più giovane del campionato con i suoi 24,5 anni di età media. Con i risultati di quest’anno, Corvino ha chiuso un cerchio aperto da vent’anni: il 16° posto finale è il miglior piazzamento del Lecce dalla stagione 2004/2005, ultima di Pantaleo in Salento prima di spiccare il volo tra Firenze e Bologna. E, con la vittoria del Campionato Primavera, ha riportato il massimo risultato giovanile nazionale 19 anni dopo l’ultima volta: dall’impresa di Fano a quella di Reggio Emilia, dal Lecce di Rizzo con Pellé, Rosati e Vucinic a quello di Coppitelli, che promette già di rifornire la squadra per la prossima stagione (assieme ai già menzionati Vulturar e Burnete brilla la stella di Dorgu, saetta mancina, e del centrocampista Samek, giusto per fare due nomi).
È il canto del cigno per Corvino? Decisamente no, anzi: il plenipotenziario giallorosso ci ha preso gusto da questa esperienza e vorrebbe rilanciare la posta, per ripartire da un nuovo progetto triennale, al compimento di quello esaurito. La rete creata in questi anni ha permesso al Lecce di entrare nei salotti buoni del calcio: il canale aperto con il Barcelona, grazie all’agente Arturo Canales, potrebbe rivelarsi una risorsa fondamentale nei prossimi anni; la Youth League della prossima stagione è un’opportunità più unica che rara per mettere le radici nel calcio internazionale e farsi conoscere. Corvino ha preso Lecce e l’ha riportata di peso nel grande calcio, ma non ha fatto solo questo: sta lasciando un patrimonio che rimarrà anche dopo di lui. Il primo passo per la stagione alle porte è stato l’ennesima scelta coraggiosa: Roberto D’Aversa viene da due esperienze deludenti (Sampdoria e Parma volume 2), ma tra Lanciano e la prima esperienza a Parma ha lanciato giocatori come Conti, Bastoni e Kulusevski. Corvino, controcorrente come suo solito, si fida di lui. Su questi presupposti sono nati i suoi migliori progetti.