via alla fase a eliminazione diretta
L'Europeo Under 21 non è un test utile per capire la salute dei movimenti calcistici
Parte delle selezioni nazionali dei paesi di lunga tradizione calcistica non si sono qualificate ai quarti della rassegna europea. Ma attenzione a generalizzare
Georgia-Israele, Inghilterra-Portogallo, Spagna-Svizzera, Francia-Ucraina. Eccole qui, messe in fila, le otto nazionali Under 21 più forti d’Europa, quelle che si giocheranno non soltanto il titolo europeo, ma anche i pass per Parigi 2024. Se da un lato l’Italia continua a struggersi per un rendimento allarmante (ultima vittoria nel 2004, una sola finale in 19 anni persa malamente contro la Spagna nel 2013), dall’altro bisogna inevitabilmente registrare come all’appello manchi buona parte dell’aristocrazia calcistica del Vecchio Continente: la Germania, che due anni fa vinse il titolo, ha rimediato la miseria di un punto nel suo girone; Olanda e Belgio sono finite alle spalle di Georgia e Portogallo; la Croazia è stata materasso del Gruppo B insieme alla Romania.
L’analisi, però, non può appiattirsi solamente sul risultato: sono giorni, settimane, in cui il tema del fallimento è al centro del dibattito sportivo come mai lo era stato in passato, dalla conferenza fiume di Giannis Antetokounmpo al momento dell’eliminazione dei suoi Milwaukee Bucks dai playoff Nba a quella ben più recente di Ettore Messina, arrivata peraltro subito dopo aver vinto il titolo alla guida dell’Olimpia Milano: “Non posso convincere chi crede che perdere una Gara 7 sia un fallimento e vincere un trionfo. Secondo questo criterio, c’è uno che vince e quindici che perdono: non è così, si compete, questo è il concetto di sport. Se siamo una società che ha portato all’aberrazione di questo concetto, non ho la statura morale per cambiare le cose”.
Provando a uscire, dunque, dal giogo del risultato a tutti i costi, è il caso di verificare come ogni eliminazione sia diversa. Pensiamo, per esempio, alla Germania, che lascia malissimo il torneo: da parte tedesca, però, non c’è stata alcuna volontà di ricercare a tutti i costi la qualificazione per Parigi, pur ritenuta importante. Florian Wirtz e Jamal Musiala, entrambi 2003, non sono stati portati all’Europeo Under 21 pur essendo ampiamente convocabili, così come Malick Thiaw, 2001 che avrebbe fatto non poco comodo alla difesa tedesca, o Karim Adeyemi, attaccante del 2002. Le critiche in Germania non sono mancate e si è esposto in prima persona Joti Chatzialexiou, il responsabile delle squadre nazionali, che ne ha fatto anche un discorso di formazione dello spirito dei giovani calciatori: “Forse c’è bisogno di un grado diverso di durezza, educhiamo troppo dolcemente i nostri giocatori. Sappiamo che le Olimpiadi sarebbero state preziose, a livello di esperienza, per i nostri ragazzi. Questa Under 21 non ha giocato bene, ma non voglio seppellire il calcio tedesco: qualche settimana fa i nostri Under 17 sono diventati campioni d’Europa, sta arrivando una bella generazione”.
C’è poi l’Olanda, che pure vive un digiuno per certi versi peggiore del nostro, non essendosi neanche qualificata a ben cinque degli ultimi otto campionati europei. Ma chi è nel giro della Nazionale maggiore, in pianta più o meno stabile, è rimasto lì: da Botman a Xavi Simons, passando per Timber e Jeremie Frimpong, quest’ultimo uno dei nomi più discussi in quanto snobbato anche da Rambo Koeman per la Nazionale maggiore nonostante l’ottima stagione con il Leverkusen. E mentre in Italia i processi sono partiti solo dopo l’Europeo, con il futuro di Nicolato che era appeso ai risultati, l’Olanda aveva già annunciato, ben prima del torneo, l’avvicendamento tra van de Looi e l’ex terzino milanista Reiziger previsto alla fine della rassegna.
Privilegiare l’importanza dei giovani in prima squadra rispetto all’Under 21 è un concetto ancora più esasperato se guardiamo a chi il turno iniziale lo ha superato: la Francia, che il pass per Parigi ce l’ha già in tasca in quanto paese ospitante, ha lasciato fuori Tchouameni e Camavinga, Fofana, Badiashile e Sadiba, presentandosi comunque con un organico di qualità elevatissima. E poi i vari Bellingham, Saka, Gonçalo Ramos, Pedri, Gavi, Haaland, Kvaratskhelia. Torna alla mente un concetto espresso spesso da uno degli allenatori più significativi della storia recente del nostro campionato Primavera, Alberto De Rossi, che per ben 19 stagioni ha allenato la Roma: “L’obiettivo principale non è mai stato il risultato o il trofeo, ma portare giocatori in prima squadra. Non c’è trofeo che possa portarci fuori da questo obiettivo”. L’Italia ha provato a fare tutt’altro. E non ha funzionato.
Il Foglio sportivo - In corpore sano