la sesta tappa della Grande Boucle
Tour de France. Pogacar ha detto no
Lo sloveno ha vinto a Cauterets-Cambasque staccando sull'ultima salita Vingegaard. Il danese è la nuova maglia gialla. Domani si riparte direzione Garonna, con metà gruppo che proverà a fuggire dalla sensazione di un futuro prossimo mesto, fatto di inseguimenti che non condurranno mai a un aggancio
Era – probabilmente – dalla seconda tappa, quella che terminava a Donostia, che Tadej Pogacar desiderava di dire no a Jonas Vingegaard. Ne aveva ricevuti tre in due giorni dal danese. La richiesta era sempre la stessa: tira un po'. Anche la risposta: no. Due volte detto a voce, una volta con un scrollata di capo. In cima al Col du Tourmalet, penultima salita di giornata, quarantasette chilometri dall'arrivo, Jonas Vingegaard si è girato e ha chiesto a Tadej Pogacar di collaborare. Lo sloveno ha risposto no. Poi ha sorriso. Sorride spesso Pogacar, per lui pedalare è un divertimento. È più serio il danese, meno espansivo, i suoi no baschi erano secchi e senza appello. Quelli di Pogacar meno, ma un cambio non glielo ha comunque dato. In cima al Tourmalet i due, i soliti due, erano da soli. Avevano già staccato tutti, soprattutto Jay Hindley, che ieri, nella prima tappa pirenaica, aveva messo in scena la rivolta, rivolta che non è riuscito a ripetere oggi. Non gli è riuscita nemmeno una completa resistenza. Se Paganini non ripete, neppure Hindley, ma in questo caso suo malgrado. L'avrebbe voluto fare volentieri, non è andata come voleva. E sì che c'era dietro a quei due, i soliti due, quando Wilko Kelderman aveva spento le speranze di tantissimi. Poi però è arrivato Sepp Kuss. E l'americano è un buratto a pedali, separa crusca e farina, Vingegaard da tutti gli altri. L'eccezione è Tadej Pogacar. Sul Col du Marie Blanque il danese aveva fatto da sé e se l'era perso per strada, sul Col du Tourmalet c'ha riprovato, ma lo sloveno non ha perso un metro in salita.
E nemmeno sulla strada che portava, in salita, verso Cauterets-Cambasque Pogacar non ha perso un metro. Sempre alle spalle del danese, sempre tranquillo, mentre quell'altro si innervosiva perché non riusciva a scrollarselo di dosso. S'era abituato bene Vingegaard.
Poi Tadej Pogacar si è alzato sui pedali, è scattato, è rimasto da solo. Ha proseguito da solo e in solitudine è arrivato sino all'arrivo. Ci teneva lo sloveno a far vedere a quell'altro che quanto accaduto verso Laruns era stato un passo falso e basta, che non aveva mentito quando aveva detto che gli erano mancate le gambe per un chilometro e un chilometro soltanto. L'oggi non fa mai a pari con l'ieri, dicono i saggi. E pure il cronometro: ieri erano sessantaquattro secondi persi, oggi ventiquattro guadagnati. L'aritmetica però nel ciclismo non è mai lineare, i secondi hanno un loro peso specifico e non sempre è uguale tra loro. Di secondi di vantaggio ora Jonas Vingegaard ne ha 25 su Tadej Pogacar, ha soprattutto di nuovo la maglia gialla sulle spalle. Può essere contento, anche se con un po' di volontà di potenza in meno. Le certezze sono le stesse però. E sono tre: ha le gambe che girano bene, ha la squadra più forte, Wout van Aert è ancora in gruppo e, nonostante quello che dicono in giro sui loro rapporti non eccezionali, il suo lo fa e lo sa fare alla grande.
Wout van Aert è soprattutto sempre davanti al gruppo. Dei 144,9 chilometri pedalati oggi, ne avrà passati a prendere vento in faccia almeno la metà. Prima per dare forza e spazio alla fuga odierna che lui stesso aveva fatto nascere, poi per non farla naufragare alla prima ascesa, il Col d'Aspin – dopo il lavorone in pianura che aveva fatto Kasper Asgren per favorire i desideri di vittoria di Julian Alaphilippe –, infine per lanciare il compagno Jonas Vingegaard verso il traguardo. Se l'erano studiata bene quelli della Jumbo-Visma. Avevano disposto le pedine in modo perfetto per fare appassire definitivamente il pensiero giallo di Tadej Pogacar. Kelderman e Kuss dovevano lanciare l'attacco di Vingegaard, poi sarebbe toccato al campione belga rifinire il lavoro per il capitano. È andato tutto bene a parte il finale, ma non ne può nulla Wout van Aert, non ne può nulla la Jumbo-Visma. Pogacar non si è staccato sul Tourmalet, poi Vingegaard invece di staccarlo si è staccato.
Non si risparmia mai Wout van Aert, il suo ciclismo è avanguardia, lontananza e meravigliosa scriteriata lucidità. Dicono che sbagli a correre così, perché se corresse diversamente probabilmente vincerebbe di più. Può essere. La controprova non c'è però, c'è mai nello sport e non solo nello sport. Può essere, ma anche no, soprattutto non ha importanza perché il solo vederlo correre è una buona ragione per vedere il Tour de France. Sono state corse sei tappe in questa Grande Boucle, Wout van Aert è stato l'unico a essere sempre protagonista. Non ha ancora vinto? Ce ne faremo una ragione. Domani si arriverà allo sprint, sarà grande interprete pure lì.
Domani si ripartirà in attesa di una volata, si pedalerà con più facilità e più velocità tra le strade della Garonna, su fondali più cheti, fuggendo dai ricordi delle montagne nell'attesa di altre. Metà gruppo cercherà di fuggire dalla sensazione di un futuro prossimo mesto, fatto di inseguimenti che non condurranno mai a un aggancio. Non almeno a quei due, ai soliti due.
Jay Hindley ripartirà con 1'34” sul groppone; Adam Yates è quarto a 3'14”, Sepp Kuss decimo a 5'28”, sotto i dieci minuti ci sono solo venti corridori. Mattia Skjelmose oggi ha perso oltre sette minuti, Giulio Ciccone oltre dieci. Michael Woods oltre ventitré. Potevano stare tra i dieci della generale tutti e tre. Non è detto che non ci riescano lo stesso. Ci vorrà però parecchia immaginazione.
Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar si sono sempre sbarazzati di tutti per interposta persona – e sempre Kuss –, poi hanno bisticciato tra loro. E per non diventare solo un fondale lontano dietro le loro spalle, toccherà inventarsi qualcosa, partire all'avventura che è ora di pranzo, fare il meglio possibile. Tobias Halland Johannessen ha fatto oggi un test generale per capire come dare seguito al suo Tour de France. E sembra aver trovato il modo buono. Il norvegese è forte e va forte. In salita è uno di quelli che sanno far girare i pedali bene, veloci e a lungo. Oggi ha capito che non è poi così distante dai migliori del gruppo, o almeno quelli meno lontani da quei due, i soliti due.