la 10a tappa
Il Tour de France prima esplode, poi si ricompatta con la vittoria di Pello Bilbao nel nome di Gino
Per quasi due ore i corridori hanno stravolto e reso obsoleto il concetto di gruppo. Il corridore basco ha vinto (dedicando la vittoria al compagno di squadra morto al Giro di Svizzera) e ora è quinto in classifica generale
Nei primi chilometri della decima tappa del Tour de France, la Vulcania-Issoire, il concetto di gruppo aveva perso di senso. Valeva lo stesso per molti termini e molti modi di dire che si utilizzano mentre si parla di ciclismo, di corse, di corridori. Non c’erano inseguiti o inseguitori, chi prima veniva inseguito si trasformava in inseguitore in un attimo. La strada saliva e i corridori si sparpagliavano per la strada, piccole e grandi crisi si alternavano in coda alla corsa, mentre davanti, in quella che siamo soliti chiamare fuga, si sono ritrovati pure la maglia gialla Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar. E mentre accadeva questo dal lato opposto dell’incedere dei corridori invece che dei velocisti c’era David Gaudu, uno che doveva essere, almeno nei suoi piani, con gli altri a giocarsi il podio e non a inseguire con il fiatone e la paura di arrivare mezz’ora dopo quelli che avrebbe voluto scappare.
A pensare a quanti avvii di tappa “combattuti” che abbiamo letto senza aver la possibilità di vederlo, viene da credere che tanto del bello che abbiamo visto negli anni passati è stato molte volte solo un bello a metà.
Per quasi due ore i corridori del Tour de France hanno provato a riproporre ciò che un manipolo di un centinaio di persone provò a realizzare circa un secolo e mezzo dopo: un piccolo mondo anarchico, uno stato libero dalle leggi francesi, dalle leggi in generali. Andò male ai riottosi allora: il primo presidente della Terza Repubblica francese, Adolphe Thiers, ordinò di sedare in modo violento la pacifica indipendenza richiesta prima e dichiarata poi. È andata meglio agli avventurosi. La striscia di lava partita dal via di Vulcania ha fatto evaporare il gruppo trasformandolo in goccioline. Poi la nebulizzazione si è fermata, le goccioline sono diventate gocciolone, le particelle impazzite hanno trovato la loro dimensione. L'hanno trovata, il caos si è stabilizzato. Wout van Aert e Mathieu van der Poel hanno provato a riaccenderlo, si sono fatti qualche chilometro in avanscoperta pensando fosse facile riprendere due minuti abbondanti alla fuga. Non è facile nemmeno per loro. Hanno desistito.
Davanti si sono incastrate, alla lunga, quattordici buoni propositi di vittorie di tappa, rimonte in classifica generale, perlustrazioni per contratti con timbro 2024.
I propositi migliori ce li aveva Pello Bilbao. Voleva vincere, voleva riscattare un Tour de France un filo troppo deludente da parte della Bahrein-Victorius – Mikel Landa, il capitano designato, è indietro in classifica generale, il Landismo è un’utopia che sta finendo come quella anarchica del dipartimento del Puy-de-Dôme –, voleva raggranellare qualche minuto buono per poter sperare in un ottimo piazzamento a Parigi. E poi c’era il buon proposito iniziale, quello con il quale è partito dai suoi Paesi Baschi, quello di continuare ciò che aveva iniziato il suo compagno di squadra e amico, Gino Mäder, morto poche settimane fa mentre stava correndo il Giro di Svizzera: “Seguendo le orme di Gino e continuando la sua eredità, durante questo Tour de France donerò un euro all'associazione Basoak SOS per ogni corridore che si piazza dopo di me in ogni tappa. L'obiettivo è acquistare terreni disboscati e ripiantarli con specie locali”, aveva detto. Ogni tanto i buoni propositi fanno muovere le gambe più velocemente e più a lungo. Pello Bilbao è riuscito a vincere a Issoire. Era commosso sotto lo striscione, ha provato a essere tutto d’un pezzo davanti ai microfoni, non ce l’ha fatta fino in fondo, si è lasciato andare alla commozione. È riuscito a farlo prendendosi prima il compito di organizzare la fuga, poi di fare gran parte del lavoro per riprendere Krists Neilands, infuturatosi sull’ultima salita della tappa, ripreso a pochi chilometri dall’arrivo, poi piazzatosi quarto. Ora è salito in quinta posizione nella generale a poco più di quattro minuti e mezzo.
Il lettone ha cercato l’avanguardia dal chilometro zero, si è scofanato una ventina di chilometri da solo avanti a tutti. Anche lui aveva i suoi buoni motivi per dannarsi gambe cuore e polmoni per arrivare prima degli altri. Voleva cancellare tre anni paperinici, fatti di intoppi in sequenza continua, piccoli sassolini che si trasformavano in valanghe di inciampi: se una cosa poteva andare male, gliene andavano male due. Oggi poteva andare meglio, se ne farà una ragione, tanto male non è andata. Una giornata da protagonista al Tour de France vale quanto meno un ingaggio per la prossima stagione. E Krists Neilands non ha voglia di finire a spasso a ventotto anni.
I buoni propositi hanno fatto quello che non è riuscito all’utopia dell’anarchismo e del ribaltamento completo del Tour de France. Non era forse pronta la Grande Boucle, non erano forse pronti i corridori, forse hanno solo valutato che i costi (energetici) potevano essere maggiori dei benefici. Poco male. Hanno donato ore di intenso piacere ciclistico. Non è il primo. Non sarà l’ultimo. C’è da volergli bene ai corridori.