l'undicesima tappa
Il Tour de France tra la solitudine di Oss e l'eccesso di compagnia di Philipsen
L'italiano si ritrova solo e inseguito da tutti: non si scompone, si gode una giornata in testa al gruppo. Il velocista belga questa volta se la deve cavare senza Mathieu van der Poel in una volata caotica: è andata bene
Dicevano gli attaccanti: Foza, è inutile mandare avanti sto teatrino, veniteci a prendere.
Rispondeva il gruppo: No, dai, state là ancora un po’, non c’è fretta.
Non c’era bisogno di parole per arrivare al punto. Non ci sono state, si sono capiti al volo al Tour de France. Andrey Amador, Mads Louvel e Daniel Oss erano davanti a tutti, inseguiti da centinaia di ruote, decine delle quali che avevano un solo scopo: tenere quei tre a una distanza tale che un aumento del ritmo avrebbe permesso di acciuffarli facilmente e soprattutto in poco tempo. Louvel si è stufato di giocare che di chilometri all’arrivo ne mancavano 53, Andrey Amador una mezza dozzina di chilometri dopo. Daniel Oss è rimasto davanti per sottrazione. Per una vita ha aperto la strada a Peter Sagan, ne ha guidato i movimenti in gruppo, lo ha accudito e lanciato, gli è stato ombra, consigliere, gran visir. Per un giorno, qualche ora, ha preso le distanze dal capitano e amico. Lontano, in fuga, un cambiamento totale. Valeva la pena restare lì, godersi l’effetto che fa, anche se il finale era scontato e non c’era possibilità di alcun ribaltamento carnevalesco. Poteva andare peggio, poteva piovere. È piovuto. Ma d’estate, specie in bicicletta, specie al Tour de France, specie dopo un caldo appiccicoso, la pioggia non è mai così spiacevole. Il gruppo avrebbe preferito bagnarsi un po’ prima, avvicinarsi alla volata sull’asfalto asciutto. Anche perché ci sarebbe stato spazio e tempo per farlo.
Inseguiti e inseguitori avevano giocato a chi andava meno forte per un pezzo, decine e decine di chilometri. La speranza era vedere una sfida di surplace, un traslocamento di ciò che faceva aprire le bocche agli spettatori nei velodromi, che cucinavano le gambe al pari di un Galibier o un Tourmalet. È andata male. E sì che di discreti pistard ce ne sono in gruppo.
Poi la velocità è aumentata, è diventata vertiginosa. Strada in leggera in discesa, ruote che giravano anche oltre gli ottanta chilometri all’ora. A sessanta la spalla di Julian Alaphilippe si è appoggiata a quella della maglia gialla Jonas Vingegaard. I due hanno tremato, si sono scomposti, hanno riacciuffato la linea perfetta, non è successo niente. E per fortuna, sarebbe stato un disastro. Perché non tutti i corridori sono funamboli, l’equilibrismo estremo è di solito prerogativa dei velocisti.
Gli sprinter sono entrati in scena all’ultimo, hanno recitato un paio di battute corali, ma quelle che danno il senso di tutta l’opera. E la migliore è stata, come il fil rouge di questo Tour prevede, quella di Jasper Philipsen. Ancora primo, davanti a tutti per la quarta volta. In questa occasione però come mai era accaduto. Non c’era Mathieu van der Poel a fargli strada, ad aprire le acque. S’è dovuto arrangiare, l’ha fatto benissimo, al solito modo, usando forza e intelligenza, furbizia e maniere forti. In tanti si sono persi in quel gioco della sedia che si è creato negli ultimi cinquecento metri. S’era perso Wout van Aert, non è la prima volta. S’era perso Mads Pedersen, evaporati Caleb Ewan e Fabio Jakobsen. Serviva galleggiare d’esperienza, di fiuto e di centrifuga diceva Urs Freuler, che negli anni Ottanta diversi sprint gli ha vinti. Sono riemersi Alexander Kristoff e Peter Sagan, il primo due volte tra i primi dieci c’era finito, il secondo mai. Tutta gente che la bicicletta la sa guidare alla perfezione, che sa gestire qualsiasi imprevisto (o quasi).
Di imprevisti il Tour de France ne offrirà a iosa domani. Ne ha offerti moltissimi ieri. Un po' meno oggi. Ma servono giorni così, serve tirare il fiato, sistemare per quanto possibile il livello di acido lattico nei muscoli. C'è sempre bisogno di lentezza per gustarsi la velocità, di calma per gustarci la lotta, di sfondi per apprezzare la voracità del movimento delle gambe sui pedali e della lotta.