Foto A.S.O./Pauline Ballet 

la 12a tappa

Izagirre brinda a Beaujolais. È folle ed energivoro questo Tour de France

Giovanni Battistuzzi

Serviva affrontare di petto la dodicesima tappa della Grande Boucle, non aver paura di aggredirla, fare i bulli. Sono andati in scena ottanta chilometri di scatti continui, di anarchia tattica, un altro straordinario spettacolo ciclistico. Vince il basco, Thibaut Pinot entra tra i primi dieci

È quando le aspettative sono alte, altissime, alimentate da giorni nei quali ogni salitella diventava palcoscenico buono per creare problemi alle resistenze altrui, dal pregresso di martedì così simile a ciò che avevano danti i corridori, che è facile che la delusione appaia, lasci un senso di fastidio diffuso, di occasione mancata. Era il posto sbagliato il Beaujolais per avere aspettative. È zona di colori rilassanti, di rumori pacati, di tranquillità agreste. Poteva essere un'ottima escursione, un giornata interlocutoria a osservar paesaggi. Una fuga e via, i fuggitivi a cercare il modo di vincere la tappa, gli altri a risparmiare energie per i giorni e le montagne successive.

È piacevole quando le aspettative si materializzano nella realtà, anzi quando la realtà prende a schiaffi le aspettative, consegna ai nostri occhi qualcosa che speravamo, ma in silenzio, senza dirlo, per non sembrare folli.

È pieno di follia questo Tour de France. È energivoro questo Tour de France, se ne frega del risparmio energetico, del conticino per addizione. Moltiplica, eleva a potenza, dilata. Distacchi e debolezze.

Serviva affrontare di petto la dodicesima tappa della Grande Boucle, non aver paura di aggredirla, la passività era la via maestra per l'esclusione. Serviva essere un po' bulli, farsi vedere in testa al gruppo, dimostrare agli altri di non aver paura ad attaccare. Lì davanti c'erano ovviamente Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar a farsi i dispetti, soli, senza più compagni di squadra. Li avevano persi nel trambusto. Qualcuno era davanti, moltissimi dietro. Vingegaard e Pogacar stavano per andare in fuga dal regno che loro stessi avevano creato.

C'hanno provato in tanti, tantissimi, a evadere dalla compagnia dei più. A un certo punto i più erano i meno, la dispersione era totale. C'era chi cercava di fuggire da chi era già fuggito senza quasi nemmeno accorgersene. Per una ottantina di chilometri è sembrato di assistere a una festa generalizzata, a un'euforia incontrollabile, dove tutti bevevano e brindavano e l'allegria era talmente invadente da trasformarsi in tristezza assoluta tutto ciò se lo stava perdendo. Mikel Landa, Sepp Kuss, Emanuel Buchman, Louis Meintjies, Ben O'Connor erano stati invitati, si sono persi tutto, inseguivano con il bicchiere vuoto tra le colline dolci che generano un vino leggero, piacevole anche freddo, buono per le estati. Meditavano, si chiedevano se era tutto finito per loro.

Non sapevano forse che non c'è meditazione nel Beaujolais, non ci sono sapori forti, c'è piacere del bere, “del prendere tutto come viene, perché c'è niente di meglio del prendere le cose come vengono: ti sale un'irrefrenabile voglia di vivere, di pensare che l'oggi è meraviglioso e il domani chissà, probabilmente sarà meraviglioso allo stesso modo”, scriveva René Fallet. Lo scrittore scelse il Beaujolais per vivere e girare il bicicletta, perché c'è niente di meglio della bicicletta “per godersi il presente e la vita. Pedalare e fermarsi, bersi un bicchiere, chiacchierare: serve altro?”.

Non serve altro. Godersi la festa e sapere che arriva il momento nel quale la festa diventa cosa per professionisti della festa, per chi ha l'ardire di continuare, forse meno buone ragioni per smettere.

Tiesj Benoot, Thibaut Pinot, Andrey Amador, Mads Pedersen, Mathieu van der Poel, Guillaume Martin, Ion Izagirre, Ruben Guerreiro, Matteo Jorgenson, Dylan Teuns, Victor Campenaerts, Tobias Halland Johannessen, Mathieu Burgaudeau erano quelli che avevano meno buone ragioni per smettere. Si sono trovati davanti sfiniti e per sfinimento collettivo. La vittoria di tappa è diventato affar loro. I danni erano già stati fatti.

Al chilometro cento il gruppo era sparpagliato per il percorso. Era sparsi in diciassette chilometri: davanti loro, in coda Caleb Ewan e il fido Jasper De Buyst – che provava a non farlo andare alla deriva – con la voiture-balai alle calcagna pronta a raccoglierli a bordo, porre fine a un inseguimento impossibile. Non hanno colto l'invito, hanno continuato a pedalare, sono arrivati oltre 37 minuti dopo il primo: Ion Izaguirre.

Il basco è filato via da solo sull'ultima salita di giornata, ha avuto il buon senso di attendere la fine dei bisticci tra Thibaut Pinot, Matteo Jorgenson e Guillaume Martin (bravo e generoso poi a disturbare i tentativi – confusi – di inseguimento: è il capitano, ha corso anche da gregario e metronomo), di attendere che la fiducia cieca di Mathieu van der Poel sulle sue capacità di andare forte e a lungo si esaurisse, per tentare e trovare la solitudine. S'è stupito quando chilometri dopo si è girato per vedere cosa stava accadendo alle sue spalle: ha visto il vuoto. Ha compreso di essere riuscito finalmente ad agguantare ciò che spesso gli era sfuggito dalle gambe: il momento giusto, quello capace di sorprendere e sparigliare.

L'ha afferrato davvero l'attimo Ion Izaguirre. Se lo è goduto fino all'ultimo metro. Ha passato il traguardo e ha cacciato un urlo liberatorio, quello di chi sa di aver gettato tante occasioni in vita sua. Era dal 2016 che non vinceva al Tour de France. All'epoca ancora credeva che un giorno avrebbe potuto puntare a stare tra i primissimi della generale in una corsa a tappe di tre settimane. I fatti gli fecero cambiare idea, lo portarono a prediligere la giornata singola, a cercare la fuga come completamento della sua anima. Tante ne ha fallite, alcune le ha lasciate scivolare via, oggi l'ha presa, stretta, portata a casa. Va così nel ciclismo, a volte basta un giorno e ci si accorge che tutto ciò che sembrava sbagliato non lo era davvero, o almeno non del tutto.

Thibaut Pinot e Guilleume Martin hanno apprezzato l'oggi, ora aspettano il domani. Hanno guadagnato minuti, si sono avvicinati alle prime posizioni – ancora distanti –, sperano di aver ancora fondo e gambe buone per le montagne che arrivano. Domani c'è il Massiccio del Giura, l'arrivo in salita al Grand Colombier. Sabato e domenica le Alpi, due tappe dure, non d'altissima quota, ma tignose come certi inseguimenti.

 

Tour de France, 12a tappa. L'ordine d'arrivo e la classifica generale

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