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Djokovic quasi infallibile, Sinner comunque da sballo. Lezioni di tennis per osservatori occasionali

Giuseppe De Filippi

“Penso che il punteggio non renda la realtà di ciò che è successo in campo”, ha concesso poi il campione serbo ai microfoni in campo. Cosa c'è da imparare dalla prima semifinale di Wimbledon

Era la partita per tutti, quella che avrebbero commentato e raccontato anche i frequentatori non abituali degli schermi tv riempiti da un campo da tennis. Sì, ci eravamo già cascati nel precedente match tra Jannik Sinner e Novak Djokovic e, da pivelli dell’osservazione tennistica, ci eravamo esaltati per i due set di vantaggio presi allora da Sinner. Si era sempre sull’erba chiazzata di Wimbledon e il nostro magrissimo campione era partito con un 7-5 al primo set e poi 6-2 al secondo. Gli osservatori occasionali allora si erano messi a studiare gli impegni della giornata sul cellulare, a rispondicchiare a qualche messaggio, immaginando di togliersi di torno la pratica del match tennistico in un rapido terzo set per poi passare ad altro. Facce sicure, quasi annoiate, e il fastidio che si riserva agli scocciatori di fronte agli inviti alla prudenza che arrivavano dagli spettatori più esperti, dai tifosi che ne avevano viste un po’ di più di chi arriva fresco fresco a seguire le semifinali degli slam e dà giudizi.

Poi andò come sappiamo, con tre set di fila per il serbo, entrato in quella specie di trance che lo coglie quando smette di sbagliare e costruisce il suo tennis su minimizzazione del rischio e sfruttamento pieno delle occasioni con probabilità di successo (e i movimenti del suo braccio destro e del suo corpo lo assecondano in pieno). Per gli osservatori occasionali il match è stato un’occasione di maturazione. Perché hanno (abbiamo) dovuto capire che si può giocare meglio e dare una maggiore impressione di solidità perdendo direttamente per tre set a zero invece di vincere i primi due e poi cedere i tre successivi.

Sinner ha mostrato la capacità di stare in campo contro un Djokovic quasi infallibile riuscendo a costruire punti con la forza del suo gioco e non solo sfruttando errori (rarissimi) altrui. Poi, purtroppo, non lo ha fatto quando più sarebbe servito. Nei break point iniziali, conquistati con grande bravura e con un gioco lineare, plasmato quasi su una specie di imitazione dell’economicità della tecnica del suo rivale, e nel tie break finale, lo abbiamo visto tutti commettere errori un po’ rabbiosi, frettolosi. Djokovic era nella trance dell’infallibilità già dalla camminata in favore di telecamera tra sale e corridoi di Wimbledon, con quella speciale capacità di analizzare e poi dimenticare i propri momenti di debolezza e l’esaltazione che gli regalano le contestazioni e il tifo contrario, condito dai buuuu del pubblico. Sinner era arrivato con la citatissima borsona, forte e leggero come al solito, il passo dinoccolato, sotto al quale nasconde una dura volontà di vittoria. Questa volta, però, in qualche angolino della sua testa qualcosa gli diceva che non era ancora tempo di battere il campione serbo, ma che il suo turno arriverà. “Penso che il punteggio non renda la realtà di ciò che è successo in campo”, ha concesso poi Djokovic ai microfoni in campo, rendendo con poche parole la consapevolezza acquisita anche dai tifosi occasionali, ora maturati e pronti a sfoggiare più competenza e più concentrazione al prossimo match.

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