l'inversione dei poli
Il mondo del rugby si è capovolto
Negli ultimi quarant’anni il centro del mondo della palla ovale era situato nell’emisfero Sud, tra Nuova Zelanda, Australia e Sudafrica. Ora invece è tornato in Europa, ma non dove tutto è iniziato: il meglio lo si vede in Francia e Irlanda
Il fenomeno di inversione polare avviene ogni duecento o trecento mila anni. Per capirci, ogni paio di centinaia di millenni, il polo positivo della Terra (che oggi è il Nord) diventa il negativo e viceversa. Questo causa enormi sconvolgimenti naturali. Ecco, se l’inversione dei poli terrestri capita molto raramente, nel rugby è appena successo.
Sì, perché negli ultimi quarant’anni il centro del mondo della palla ovale era situato nell’emisfero Sud, in un punto tra Nuova Zelanda, Australia e Sudafrica. Oggi invece si trova più o meno nella porzione di Oceano Atlantico che divide la Francia dall’Irlanda. Le nazionali di questi due paesi sono le prime due del ranking mondiale e si stanno preparando a una Coppa del mondo in cui possono ambire alla vittoria. Ma non solo. Francia e Irlanda si sono affrontate venerdì scorso nella finale del Mondiale Under 20. Hanno vinto i francesi, con un pesante 50-14 che ha portato ai giovani Bleus il terzo titolo mondiale consecutivo, a riprova del fatto che il progetto di sviluppo sta funzionando bene oltre le Alpi.
Le motivazioni che accompagnano questo cambio di rotta possono essere tante, ma probabilmente c’entra la pandemia. Nel 2020 infatti, il Super Rugby, la competizione per club che faceva scontrare i migliori giocatori dell’emisfero Sud, si è spacchettato: fuori i sudafricani, fuori i Jaguares argentini, fuori i Sunwolves giapponesi e nascita di due competizioni diverse per Nuova Zelanda e Australia. Questo protezionismo ha abbassato il livello della competizione, che ora ha riunito la parte neozelandese a quella australiana, che ha accolto due squadre “isolane” (Fijian Drua e Moana Pasifika), ma che ha perso altre componenti fondamentali, prime su tutte le squadre del Sudafrica, che stanno flirtando con l’Europa.
E mentre si confezionava questo scisma meridionale, a Nord, seppur a porte chiuse e con mille limitazioni, le competizioni hanno continuato a disputarsi più o meno normalmente. Non solo però: la Francia ha investito tantissimo sui centri di sviluppo, specie nei protettorati o nelle “terre d’oltremare”, con l’obiettivo di trovare giovani campioni da portare in Europa e formare come si deve. Risultato: coach Galthiè ha a disposizione un bacino di giocatori sconfinato per la Coppa del mondo, che disputerà da paese ospitante e da favorita.
L’Irlanda invece? A Dublino le cose vanno tendenzialmente bene da anni: la generazione d’oro di Sexton &co. sta lasciando spazio a giovani talenti che crescono in franchigie che sono espressione delle quattro regioni dell’Irlanda unita come Leinster, finalista di Champions Cup; Munster, vincitrice dello United Rugby Championship, Connacht o Ulster. Strutturalmente il rugby irlandese è un business che funziona da anni e che sta sfornando talenti di livello che crescono con un progetto tecnico di qualità. L’obiettivo dichiarato per i Mondiali è di andare oltre il semplice approdo alle semifinali, mai successo fin qui. Certo, il girone non è facile: la squadra di coach Farrell se la vedrà con i campioni del mondo del Sudafrica, ma anche con Scozia, Tonga e Romania.
Insomma: Francia-Irlanda è a oggi la partita più bella al mondo, sia a livello giovanile che seniores. Solo qualche manciata di anni fa Nuova Zelanda-Sudafrica aveva questo primato. Ma il tempo passa, i poli si invertono. Il rugby è tornato in Europa, in quell’Europa dove è nato esattamente due secoli fa. È tornato a casa.
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