Fedeltà calcistica
Lukaku traditore? Servirebbe un'altra personalità
Le bandiere di 20-30 anni fa garrivano alte soprattutto grazie alla nostra posizione di egemonia economica e politica rispetto al pallone internazionale, ora si spostano come facevano i giocatori del Brasile come Zico
Tre giorni fa, al check-in per visitare lo splendido Antelope Canyon in Arizona, ho diviso la fila con un bambino che indossava la maglia del primo Lukaku interista, stagione 2019-2020. Non mi è dato sapere da che Paese provenisse né se fosse al corrente del furibondo dibattito che infuriava in Italia in quei minuti, ma mi piace pensare che incarnasse la risposta involontaria alla melassa boomer imperversante soprattutto sui social di alto rango: e le bandiere, e il romanticismo, e Totti, Maldini e Del Piero… Senza voler e poter tornare ai tempi di Gigi Riva (un altro calcio, un'altra Italia, un'altra Europa, un altro mondo), tocca rispondere a banalità con banalità: le bandiere di 20-30 anni fa garrivano alte soprattutto grazie alla nostra posizione di egemonia economica e politica rispetto al pallone internazionale. Totti e Maldini rifiutarono più volte le offerte della Premier e del Real Madrid, ma potevano appoggiarsi su società e ingaggi del tutto all'altezza della situazione. In questi giorni si celebrano i 40 anni dell'arrivo del sommo Zico all'Udinese, una società che all'epoca per blasone non era troppo distante dall'attuale Al Hilal: glissando sulla liceità dei dettagli finanziari di quell'operazione, recentemente rivelati dal responsabile Franco Dal Cin, all'epoca mollare il Brasile e il glorioso Flamengo per una squadra di terzo piano del Nord-Est italiano non era sembrato un tradimento a nessuno.
Quanto a Lukaku, non esattamente un primatista mondiale di coerenza e lucidità dentro e fuori il campo, non è certo il caso più rumoroso di calciatore eterodiretto, dal procuratore o da chi ne fa le veci ("dillo alla mamma, dillo all'avvocato", direbbe un intellettuale dei nostri tempi). Per incarnare il ruolo del Traditore in grande stile servirebbe ben altra personalità, un tremendo carisma che da sempre difetta a Big Rom che anche a Istanbul, per la gioia di tutti i tifosi del City, si è trasformato in un wonderwall su cui si è schiantata l'ennesima partita importante della carriera. È passato anche lui, passeranno tanti altri calciatori, altre stagioni: se davvero - per assecondare il boomerismo imperante - "conta solo la maglia", perché darsi tanta pena per un atleta noto anche per sbaciucchiare esplicitamente a favore di obiettivo ogni stemma che ha indossato, da sempre il sintomo della puzza di bruciato? Che il bacio sia sovente l'anticamera del tradimento ce lo spiegava già Nostro Signore, in epoche in cui Gianluca Di Marzio non era ancora stato inventato.
Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA