oltre il tempo
Vingegaard ha rotto il giocattolo delle prime due settimane del Tour de France
La maglia gialla ha vinto la cronometro di Combloux con 1'38" di vantaggio su Pogacar e quasi tre minuti su van Aert. Ha già vinto la Grande Boucle? No. Ha dilatato solo il divertimento. Ora non bastano i dispetti, serve una rivoluzione, un colpo di follia
Lo sguardo era lo stesso per entrambi: perso nel vuoto, confuso come solo la fatica, quella talmente intensa da riuscire a spezzare il fiato e renderti le gambe molli come il burro tenuto da troppo fuori dal frigo, sa fare. Si guardavano attorno e non vedevano niente, colori sparsi, quelli della folla, della loro gente, massaggiatori, uomini di fiducia. Erano gli occhi diversi. Luccicavano quelli di Jonas Vingegaard, tendevano al cupo quelli di Tadej Pogacar. Hanno continuato a brillare quelli di Jonas Vingegaard, hanno piano piano virato alla luce quelli di Tadej Pogacar. Già quando lo sloveno è andato a complimentarsi con il rivale erano diversi. Pensava fosse tutto finito, ha capito che non è così, o quantomeno ha provato a convincersi di questo. Ci vuole uno sforzo di ottimismo per pensarlo. Sono tanti, tantissimi 98 secondi. Soprattutto se presi in poco più di ventidue chilometri. Soprattutto se presi in una cronometro che se non amica poteva non essergli rivale. Tadej Pogacar l'ha corsa alla grande: tenersi dietro Wout van Aert di oltre un minuto vuol dire essere andato forte, molto forte. Non è bastato. Jonas Vingegaard ha pedalato meglio, molto meglio: è andato più forte in discesa, in piano, in salita. Ha vinto la tappa, allargato parecchio il distacco. Ha rotto il giocattolo che aveva costruito con l'avversario per due settimane, quella trottola che prima girava verso lui, poi verso l'altro, prima di iniziare a roteare esattamente a metà distanza tra loro. C'è più quella trottola, Jonas Vingegaard le ha dato un calcio e ha interrotto il vortice.
Ha imposto un nuovo gioco, l'ha scelto lui. Non è detto che sia peggio. Anzi. Il nuovo scenario imposto da Jonas Vingegaard è un'amplificazione del piacere di una corsa che non segue mai un trama lineare, che è un susseguirsi di avvenimenti surreali, nel senso letterale del termine: evento che oltrepassa la dimensione della realtà sensibile, che evoca il mondo del sogno. Ora i dispetti sono banditi, servirà solo fantasia, forse parecchia follia. O almeno questa è la sensazione. Perché Jonas Vingegaard non ha voglia di farsi fregare dopo aver fatto alzare a 1'48” il distacco su Tadej Pogacar e Tadej Pogacar ha una voglia matta di rompere il giocattolo che Jonas Vingegaard ha scelto per l'ultima settimana.
La volontà però non è tutto. L'aveva detto lo stesso Tadej Pogacar alla vigilia: “Vedo che Jonas sta bene, ha un bell'aspetto, non sembra essere troppo nervoso. Più che dalle nostre teste, penso che tutto dipenderà dalle nostre gambe”. Parlava della cronometro, parlava delle tappe rimanenti. Due saranno toste. Innanzitutto quella di domani che condurrà a Courchevel passando per il Col de la Loze, 2.300 metri sul livello del mare: non hanno quasi mai superato i duemila metri a questo Tour de France. L'ultima occasione sarà sabato, nei Vosgi con il Petit Ballon e il Col du Platzerwasel come ultimi appelli. In nessuna tappa il traguardo sarà al termine dell'ultima salita.
In mezzo ci sono due tappe che potrebbero essere tranquille, almeno per quei due, i soliti due. Quella di giovedì sicuramente, quella di venerdì chissà. Poligny è città di grandi freddi e grandi caldi, di enormi follie. Alla metà del Duecento e del Quattrocento per due volte vennero chiamati lì centinaia e centinaia di esorcisti dal priore di Notre-Dame de Vaux-sur-Poligny perché il demonio si era impossessato della maggior parte dei cittadini.
Jonas Vingegaard spera che tutto ciò non riaccada, si augura che la sua prestazione a cronometro sia stata anche una botta al morale dell'avversario. Difficilmente accadrà. Tadej Pogacar ha dimostrato negli anni di provare quasi un sottile piacere a essere malmenato e dopo ogni sberlone ha trovato forze che pensava di non avere. Questo sberlone però è stato forte, lo sloveno ha traballato. Anche perché lui ha tenuto dietro tutti e con parecchio margine, l'altro però ha fatto meglio. Certo la mano che si era rotto alla Liegi-Bastogne-Liegi gli dà ancora fastidio, la condizione poteva essere migliore, soprattutto non sa quanta linfa gli è ancora rimasta. Forse anche per questo è rimasto sorpreso dopo l'arrivo a vedere quanto aveva perso.
Pure Jonas Vingegaard si è sorpreso per quanto ha guadagnato. Lo ha detto con sorprendente semplicità: “Sono sorpreso di me stesso, non pensavo di essere andato così forte”. Non ci stupiamo che si sia stupito. Accade sempre così quando ci si ridefinisce. E Jonas Vingegaard oggi si è ridefinito: l'avevamo visto essere lo scalatore migliore in circolazione, ora si sta imponendo anche come il miglior cronomen, se non in assoluto, quantomeno nel corso di una corsa a tappe.
È riuscito a farsi vento, a sbattere e ad abbattere ciò che era stato seminato in due settimane. Ciò che non sono riusciti a fare 2.610,7 chilometri ce l'anno fatta 2.240 metri. E ora che è tutto diverso pure lui si guarda attorno in cerca di un crocicchio grazie al quale orientarsi. Non ci metterà molto, ne siamo sicuri.