Uno, cento, centomila Thibaut Pinot al Tour de France
Alla penultima salita della ventesima tappa e in generale del Tour de France va in scena il grande addio al corridore francese. Pinot passa per primo il suo traguardo, come ha fatto Giulio Ciccone poco prima, conquistando abbastanza pois. Quello finale è invece di Pogacar
Sul Petit Ballon, penultima salita della ventesima tappa del Tour de France e penultima salita di questa edizione del Tour de France, Thibaut Pinot era solo al comando della corsa. Era soprattutto un Thibaut Pinot tra migliaia di Thibaut Pinot. Thibaut Pinot era ovunque: era volto su cartone, nome scritto su striscione, erano quattro sillabe urlate cantate incitate.
Il Petit Ballon al passaggio della ventesima tappa del Tour de France non era solo una salita era un tempio a cielo aperto dedicato al passaggio del grande inquilino di queste montagne, i Vosgi, del grande eroe imperfetto, più vinto che vincitore, forse proprio per questo davvero amato.
Thibaut Pinot è stato lo specchio dentro il quale potevamo vedere i nostri pregi e i nostri difetti, potevamo intercettare le nostre vite, fatte di piccole sfighe, grandi soddisfazioni e altrettanto grandi delusioni. Fatta soprattutto di un inseguimento a un’illusione dopo l’altra, quasi sempre finite male, perché altrimenti non si chiamerebbero illusioni. Vale per i francesi, vale per tutti quelli che riescono a fregarsene di un’antipatia tanto chiacchierata quanto noiosa, quella per i francesi.
Sul Petit Ballon Thibaut Pinot ha salutato tutti donando tutti l’ultima illusione: una progressione irresistibile per liberarsi dei compagni d’avventura, la solitudine trovata prima del grande incontro con i suoi adepti, la sensazione che potesse continuare arrivare al traguardo visto che stava incrementando il vantaggio su tutti, gruppo compreso. Il traguardo di Thibaut Pinot non era quello di Le Markstein, era lì sul Petit Ballon, era poco prima della cima del Petit Ballon, era farsi trovare lì a salutare la sua gente.
C’è mica sempre un solo traguardo nelle corse, specie nelle corse a tappe. Giulio Ciccone aveva oltrepassato il suo una quarantina di chilometri prima, in cima al Col de la Schlucht. Ha alzato pure le mani al cielo, la sua corsa l’aveva vinta: maglia a pois. Miglior scalatore, attaccante da prime montagne di giornata, una voglia matta di incollare pois su pois sul suo pedigree. Missione compiuta, in regalo la possibilità di salire sul podio di Parigi, mica da tutti.
Quello vero, ultimo, definitivo, l’ha invece oltrepassato per primo Tadej Pogacar sprintando più veloce di Jonas Vingegaard. Sul Col du Platzerwasel lo sloveno si è ripreso il ruolo di sfidante diretto della maglia gialla che aveva abbandonato sul Col de la Loze. Se l’è ripreso più per forza di volontà che di gambe, più di resistenza che di potenza. La sensazione è che Jonas Vingegaard ne avesse ben di più di Tadej Pogacar, che avrebbe potuto distanziarlo ancora, ma non lo ha fatto. C’era Felix Gall con loro. Per lui l’ultima grande prova di un grande Tour.