Offerte arabe
Mbappé non può giocare in B
Il tormentone dell’estate sono i miliardi sauditi che ci portano via i migliori campioni. Scandalo, si dice, e poi quello non è vero calcio. Forse non vedete com’è ridotto il nostro pallone povero e noioso
Rubando a parametro zero una celebre battuta di Dario Fo: se dite “ma che ci va a fare uno come Mbappé ad annoiarsi con i cammelli sulla sabbia?”, si vede che non avete mai visto la serie B italiana. Quella sì che è la morte civile – parlando di spettacolo calcistico e di noia sportiva – e del resto non è che la serie A italiana, per almeno metà, sia molto meglio. La prima partita del prossimo e già imminente campionato sarà Napoli-Frosinone, altro che Mbappé. E tocca farsi coraggio, un coraggio sparagnino, per non arrendersi all’eterna verità di Rino Gaetano: “Mio fratello è figlio unico perché è convinto che Chinaglia non possa passare al Frosinone”. E allora coraggio, viva chi se ne va da questa landa appassita. Mbappé a parte, stufo marcio di farsi sfruttare per due soldini dagli emiri del Psg, perché mai un Milinkovic-Savic o persino un Brozo dovrebbero stare ad annoiarsi qui in un brutto campionato, guadagnando poco e senza prospettiva reale di alzare una coppa, in più rischiando i garretti su prati gibbosi di stadi all’ultimo stadio?
Insomma, se siete di quelli che dicono (con gran scandalo morale, signora mia) che comunque il calcio in Arabia Saudita è noioso e non dovrebbero andarci nemmeno per finta, è perché siete obnubilati dal calcio italiano, assuefatti a una decadenza ineluttabile destinata a riportarci agli anni Settanta, all’autarchia. Per dirla in breve, e senza volergliene più di quanto ogni tifoso azzurro gliene abbia volute al tempo, ma un ex ct come Gian Piero Ventura, di che cosa parla esattamente, quando dice: “L’Arabia? Una tristezza. Mi ricorda tanto la Lega americana. Ho vissuto l’epoca di Chinaglia e Pelé. I vari Benzema, Brozovic e Milinkovic hanno ancora tanto da dare e queste partenze rappresentano un periodo triste del calcio italiano”. Tanto da dare, ma a chi? Certo, al mondo c’è ancora qualcuno a cui piace davvero il calcio; il gran Luka Modric a 37 anni ha rinnovato per un anno ancora, e senza bizze, per poter giocare nella squadra più blasonata del mondo. Gente come Messi, Kanté, lo stesso CR7 hanno aspettato la fine della corsa prima di passare all’incasso nei paradisi del calcio artificiale. Anche in Italia qualcuno che resiste alle sirene c’è: in fondo, è ancora bello giocare con un pallone.
Ma tornando alla grama realtà destituita dei fondi d’investimento sauditi, miraggio di questa estate di fantamercato, manca un mese alla ripresa del “calcio che conta” e già sono iniziate le amichevoli che un tempo erano dette “di lusso” e oggi sono invece dei pietosi spalma-debiti senza sberluccichio, e la situazione disperante del nostro football è la seguente. I migliori giocatori se ne vanno: da Tonali a Onana al Sergente ex della Lazio, servono a far cassa per club indebitati e al lumicino. Invece le star degli altri, chissà com’è, non vengono. Gli impianti full optional dove andare al ristorante, al bar, allo shopping per poi vedersi la partita meglio che in salotto in Italia si contano sulle dita di una mano monca. Il resto degli stadi è fatica operaia da anni Sessanta, cemento e freddo al culo. Una perversa mentalità da denatalità calcistica rende imbelli i sindaci che a parole vorrebbero nuovi stadi (Sala, Nardella, Brugnaro; Roma spera nel Giubileo), oppure li costringe schiavi di comitati civici, ecologisti da strapaese, sovrintendenze attardate e burocrazie del Tar. Ci rimettono gli spettatori, ci rimettono un sacco di soldi le società. E se cala la qualità in campo, vuoi che le tv spendano follie (un miliardo, si fantasticava, come il mitico Milione del Signor Bonaventura) per assicurarsi i diritti? Esclusive che poi il pubblico vuole sempre meno. L’anno scorso lo streaming è stata una tragedia imbarazzante ma nonostante questo i costi degli abbonamenti cresceranno ancora: non perché migliora il prodotto, ma per tappare le falle nei bilanci.
E stiamo parlando del calcio migliore. Al piano inferiore c’è una palude di male gestioni e di un sistema politico del calcio professionistico in pura bancarotta. La storiaccia del Lecco, neopromossa in B sul campo ma retrocesso per una serie di risolvibili cavilli infrastrutturali, o la storia della Reggina, cancellata dalla B per un buco di bilancio minimale, mentre altrove viaggiano plusvalenze e aggiustamenti da Paperopoli, sono casi eclatanti. Il campionato di B potrebbe passare a 21 squadre, mentre in Europa ancora non si sa se un club blasonato giocherà una coppetta o se farà un anno sabbatico. Davvero il pubblico vorrà ancora pagare, tanto e a lungo, per vedere un calcio simile? O preferirà sintonizzarsi sulla PlayStation saudita, o sulla Premier League paradiso dei colossi finanziari?
Se siete di quelli che dicono: e perché da noi i ricchi non investono, ecco, la risposta ve la siete già data voi. Perché in Italia col calcio si diventa poveri, il “pallone” è rimasto un mondo arcaico in cui i soldi prima si perdevano ma adesso comunque non si fanno. E dove, dagli stadi agli sponsor alle tutele dei brand, è tutto una tale confusione che nessuno è in grado di programmare una crescita con un breakeven ragionevole. Figurarsi programmare di vincere una Champions. Fanno bene, i “mercenari” che vanno a svernare al caldo dei dollari sauditi. Se non altro, la prossima stagione si annoieranno di meno, nel loro paradiso di vecchie glorie. Qualcuno, ai vertici dello sport e del calcio italiani, tutto questo lo capirà, prima che sia troppo tardi?
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