(foto Ansa)

il foglio sportivo

Tutto Nicolò Melli, sogno per sogno

Umberto Zapelloni

Il capitano, che ha dato vita a un podcast con Datome dal ritiro della nazionale ("Questo è Afternoon, cominciamo"), si racconta tra Italia, Olimpia, Germania e Nba,  “gigionate” comprese

Che cosa fanno i giocatori in ritiro? Giocano con la Playstation, navigano sui social, ascoltano musica, chattano con la fidanzata. Qualcuno magari legge pure un libro. Tutto vero. Però ce ne sono anche due, decisamente particolari, che hanno deciso di inventarsi un podcast quotidiano per raccontare la nazionale azzurra di basket. Non sono due normaloni. Sono quelli che Battiato definirebbe “esseri speciali”. Gigi Datome e Nicolò Melli tutti i giorni si mettono davanti a microfoni e telecamera e imbastiscono il loro podcast dove ospitano regolarmente uno o due compagni di squadra per raccontarli e magari prenderli un po’ in giro, come quando hanno chiesto le tabelline a Ricci, appena laureatosi in matematica. 

 

Si prendono in giro anche tra loro dimostrando un’alchimia che in campo ha cominciato a funzionare in Turchia e poi si è perfezionata nell’Olimpia e in azzurro. Datome, ad esempio, sta selezionando la hit parade delle “gigionate”, le sue ciclopiche sbadataggini che il perfettino Melli non vede l’ora di rendere pubbliche. Certo che da uno che ha girato il mondo come Gigione, scritto due libri (“uno tradotto in turco” tiene a sottolineare), suonato sul palco con Patti Smith, mai ti aspetteresti che si confonda tra 7 del mattino e 7 di sera nel richiedere un passaggio BlaBlaCar da Cagliari a Olbia…

 

Lo hanno chiamato “Afternoon” con un chiaro riferimento al famosissimo podcast di Francesco Costa di cui sono affezionati ascoltatori. Non hanno lo stesso ritmo dell’originale e ci mancherebbe. Ma in una trentina di minuti riescono a divertirsi e ad informare. Passano dalla sfida tra Macine e Abbracci a domande pseudo tattiche per mettere in difficoltà i loro compagni. Parlano di vita, parlano di basket. Sono spigliati, nonostante non passi puntata in cui Gigione non sottolinei come la colpa sia tutta di Melli che lo ha trascinato nell’impresa, approfittando del fatto che Gigi abbia ormai detto addio al basket e sia alle sue ultime partite con la nazionale attesa al Mondiale nelle Filippine a fine agosto. Nicolò, capitano dell’Olimpia dove era già esploso prima di diventare un fenomeno in Germania, Nba e Turchia, ha una certa predisposizione per la materia. Ci aveva già provato durante la bolla Covid. Oggi fa le cose sul serio. Pozzecco è un c.t. che lascia molto tempo libero, ammette le famiglie in ritiro e i due sono padri di due bellissime bambine. Insomma, nel tempo libero, saprebbero benissimo che cosa fare, come si vede dai post dei loro account Instagram, dove sanno esseri tenerissimi con le bimbe. Però hanno deciso di dedicarsi al podcast con un certo impegno (“Le interviste le prepariamo”, fanno notare). L’unico (finto) sponsor che hanno trovato è il tendificio di Folgaria. Ma chi se ne importa. Da anni Gigione sognava di dire: “Questo è Afternoon, cominciamo”.

 

Questo non è “Afternoon”, ma cominciamo con una delle domande con cui Gigi e Nik cercando di mettere in imbarazzo i loro compagni: sopra o sotto? Nicolò Melli risponde sopra. Vista la stazza c’erano pochi dubbi. È lui l’anima del podcast. “Ci avevo già provato nella bolla di Orlando con gli altri italiani che erano là rinchiusi con me. C’erano Beli e Gallo come giocatori; Scariolo e Fois come allenatori e Zuretti per la Nba...  Con Gigi avevo fatto anche delle dirette Instagram che erano piaciute. Allora, visto che queste sono le sue ultime partite, gli ho proposto di riprovarci e lui, che dice di non essere d’accordo,  ha accolto volentieri l’idea. Ci viene tutto spontaneo. Siamo stupidi di nostro… ci divertiamo e andremo avanti per tutto il Mondiale (25 agosto - 10 settembre) evitando registrazioni nel giorno delle partite”.  Il podcast è un gioco che viene naturale ed esalta la sintonia tra Nicolò e Gigi. Non è un’ipotesi di futuro. A quello Melli non ha ancora pensato, anche se uno che tiene sul comodino in ritiro i Fratelli Karamazov, difficilmente farà scelte banali. Per adesso ha investito su un centro che cerca di unire preparazione fisica e fisioterapia nella sua Reggio Emilia. A 32 anni è presto per vedere il dopo basket e comunque ha le idee chiare anche sull’argomento: “Quello che vorrei fare è smettere di viaggiare così tanto e restare di più con la mia famiglia. Allenare? Magari i ragazzi. Vedremo. Non so se staremo a Milano, andremo a Reggio Emilia o in Germania dove è nata mia moglie. Non ci abbiamo pensato, ma di sicuro faremo una scelta che possa far sentire realizzata mia moglie. Finora ha accantonato le sue ambizioni per seguire le mie, poi toccherà a me”. Katharina, la mamma della piccola Matilda, arrivata a casa Melli due anni e mezzo fa, è una delle tante cose belle che ha vissuto a Bamberg. Scegliere di lasciare Milano e l’Olimpia per andare in Germania nel 2015 poteva sembrare una scelta folle. “Da fuori quella poteva sembrare una scelta strana, complicata. Io devo confessare che, per quanto mi dispiacesse lasciare Milano, per me era stata una strada molto semplice. Volevo mettermi in gioco e Bamberg mi offriva quello”. Un allenatore come Trinchieri che gli ha dato fiducia, un compagno come Zisis che lo ha fatto crescere. Se ci aggiungete anche l’amore… “Bamberg mi ha cambiato la vita dentro e fuori dal campo. Era una situazione perfetta. Non potevo chiedere nulla di meglio”.  

 

A scorrere la sua carriera, Reggio Emilia, Milano, Bamberg, Nba, Fenerbahce, ancora Milano, sembra sia costruita solo su scelte giuste. “Non so se ho fatto le scelte giuste perché manca la controprova, ma certamente sono contento di dove sono adesso. E comunque sarò per sempre grato a Matteo Comellini che più di un agente è un amico”. Matteo, un’autorità nel basket che conta, è il figlio di Paolo, il manager che lanciò un certo Alberto Tomba.

 

A 32 anni il miglior Melli deve ancora venire. “Secondo me è giusto pensare di poter migliorare ancora. Io vado in palestra tutti i giorni per cercare di migliorarmi. È evidente che dal punto di vista fisico non ho un grande margine, ma tecnicamente e tatticamente si può sempre imparare qualcosa, così come nella gestione fuori dal campo che è un aspetto fondamentale per migliorare un giocatore. Giocare 4 o 5 non mi importa. A me interessa vincere. Preferisco giocare da 5 e vincere che giocare da 4 e perdere, anche se non credo perderei giocando da 4...”. Per migliorarsi ha a disposizione due allenatori che sono come il giorno e la notte, Messina e Pozzecco. “Sono oggettivamente due allenatori completamente diversi sia per come fanno giocare le loro squadre che per come approcciano il mestiere. Punti in comune non ne vedo, se non che con loro insieme l’anno scorso a Milano abbiamo vinto lo scudetto e siamo andati a un passo dalle Final Four. E comunque averne uno nel club e l’altro in nazionale è sicuramente stimolante, non ci si annoia mai”.  A Milano ha ritrovato “un club che è quanto di più vicino alla Nba si possa trovare in Europa. Non ho mai avuto l’impressione di un deja-vu. all’Olimpia tutto migliora anno dopo anno”. 

 

L’allenatore della svolta per lui è stato Andrea Trinchieri (“senza di lui non ci sarebbe stato tutto il resto”), ma anche Obradovic ha avuto un impatto fondamentale (“Zelico mi ha fatto capire come si sta ad alto livello, come ci si deve allenare tutti i giorni”): “Due allenatori esigenti allo stesso modo, ma un conto è esserlo per vincere l’Eurolega e giocare con la pressione di vincere, un altro esserlo a Bamberg con  obiettivi diversi”.

 

Nicolò ha vinto tre scudetti in Italia, due in Germania, uno in Turchia. Non è difficile dire che cosa gli manchi: una medaglia con la nazionale e l’Eurolega. “Non si può mai dire quello che è più a portata. L’anno scorso in nazionale l’Europeo si è trasformato in un’occasione persa con la Francia, ma nessuno pensava potessimo arrivarci. Credo che questo gruppo prima ancora che avere qualità tecniche o fisiche abbia delle grandi qualità umane. Non so come andremo al Mondiale, ma so che ci teniamo e daremo tutto… Quest’anno a Milano con la squadra che avevamo, avremmo dovuto vincere l’anello Nba, invece… due infortuni, la chimica non trovata subito e ci siamo incartati sulle sconfitte”.  Due obiettivi che sono lì, difficili da raggiungere (certo l’arrivo di Mirotic a Milano aiuterà...), ma belli da sognare. L’anno si è chiuso con il trentesimo scudetto di Milano e capitan Melli che alzava la coppa al cielo con sua figlia in braccio. Un’immagine che non dimenticherà. La vittoria che ha salvato la stagione e aperto nuovi orizzonti. Per Antetokounmpo il fallimento nello sport non esiste. 

 

Melli la pensa diversamente. “Secondo me il fallimento esiste nello sport come nella vita. Non c’è nulla di male nel fallire perché se hai fallito vuol dire che quantomeno ci hai provato. Non bisogna dare un’accezione troppo negativa alla parola fallimento che nello sport può far parte di un processo di crescita. Dagli errori puoi imparare, almeno a non ripeterli. Non giriamoci attorno: se noi non avessimo vinto lo scudetto sarebbe stato un anno fallimentare, ma non è che per quello avremmo dovuto buttarci giù da un ponte e non giocare più a basket”. Lo scudetto ha cancellato tutto. E alla fine Melli ha vinto anche la battaglia sulla lunghezza della serie finale che tornerà al meglio delle 5 partite. “Non voglio intestarmi battaglie, ma già che ci siamo ne comincio un’altra: facciamo la supercoppa su una partita secca. Non vedo il senso di fare semifinali e finale”. 

 

Poche partite in azzurre e poi l’ultimo ballo (guai a usare Last Dance) di Datome finirà. “Mi mancherà il suo essere naif. Sia la parte positiva che quella negativa. Perché alla fine lui ti dà un senso di calma, di compostezza magari anche nei momenti più tesi della stagione. Non ho imparato a tirare senza pensare come ha sempre cercato di insegnarmi lui... Me lo porterò dietro per sempre e sto imparando a convincermi come ho fatto con le gigionate”.

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