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Ecco Bollini, l'allenatore che sa come si lanciano i giovani

Giorgio Burreddu

Il commissario tecnico ha guidato l’Under 19 italiana al trionfo Europeo, lo ha chiamato Mancini. Ora ci spiega il suo calcio da tuttocampisti

Due giorni fa gli hanno fatto la festa per la vittoria dell’Europeo. Hanno allestito la piscina comunale di Poggio Rusco, il suo paese, perché c’era più spazio e così potevano infilarcisi tutti. A salutare Alberto Bollini c’erano i suoi amici. Quelli di sempre, quelli di una vita. È gente con cui sono cresciuto. Ma giuro: niente autocelebrazioni. Volevo solo trasmettere le mie emozioni e il mio vissuto”. C’erano il parroco e anche l’insegnante delle medie di educazione fisica, il prof Moretti, “uno storico del volley che mi ha avviato all’atletica. Da ragazzo nel mezzofondo ho vinto cinque giochi della gioventù”. Bollini è l’allenatore della porta accanto. Uno di quelli che nella vita abbiamo avuto tutti. È il mister, una parola che in italiano non vuol mica dire allenatore ma che è entrata nel linguaggio perché fa esotico e un po’ di reverenza. “Ho allenato la quinta generazione di ragazzi sotto i vent’anni. Ho avuto i no telefonino, quelli del primo telefonino, quelli un po’ più moderni, quelli dei primi social e adesso questi, che sono social all’inverosimile. Chi dice che i ragazzi di oggi sono complicati non ha capito nulla. Questa è una generazione iper comunicativa che spesso non lo è. Tendono all’isolamento. Sta a noi creare le sollecitazioni giuste. Sono svegli, intuitivi, intelligenti. Con loro mi sento a mio agio”.

Bollini ha 57 anni e ti fissa sempre negli occhi. Sembra scrutarti, invece ti ascolta. Gli importa di quello che hai da dire. E questo, unito alla competenza, ha fatto la differenza anche all’Europeo di Malta come tante altre volte nella sua carriera. “Un gruppo non ha segreti. Ci deve essere lealtà, sincerità, empatia, capacità di ascolto, gestionale e calcistica. Chiarezza nella comunicazione. Questo ti porta ad avere credibilità. Con questi ragazzi devi essere credibile”.

Dalla porta accanto Bollini è passato ai successi in giro per l’Italia. Poi gli orizzonti si sono allargati sempre di più, fino alla Nazionale. Ha allenato tutte le categorie e adesso andrà a fare il secondo di Mancini. “Il calcio e l’azzurro per me sono emozione pura. Più vado avanti, più maturo e più diventa una cosa forte. Una volta me lo raccontavano: l’Italia, l’azzurro… Sì, ma quando ci sei dentro senti una magia. È incredibile”. La vittoria del Campionato d’Europa con l’Under 19 vale per il presente ma soprattutto per il futuro. Non solo di Bollini, pure del calcio italiano tutto. L’azzurro sbiadito è tornato a splendere. Infatti dentro le istituzioni lo hanno celebrato tutti, da Gravina a Malagò. Il giorno dopo aveva sul cellulare 1.536 messaggi. Ci ha messo tre giorni: “Ma lo giuro: ho risposto a tutti. Mi fa strano ricevere messaggi da miei ex giocatori, magari di vent’anni fa. Significa che umanamente ho seminato bene”. E ancora: “Una delle immagini più belle è stata a Misano, sulla mia spiaggia. Avevo bisogno di relax. Sono arrivato, mi sono messo sul lettino. A un certo punto è partito l’applauso. Così, spontaneo. Bellissimo”. Ogni uomo lotta per trovare il suo spazio nel mondo, la sua dimensione. Qualcuno la chiama ambizione, ma è più una forma di vitalità. Bollini non è diverso. “Lo posso dire: mi sono guadagnato tutto. Quando allenavo i Pulcini del paese e facevo il primo anno di Isef. Quando a ventun anni allenavo la Massese, provincia di Modena, in Terza categoria. Quando a trent’anni allenavo il Modena. Lì bisogna essere tosti, avevo giocatori più grandi di me o della mia età”.

Bollini non è un duro, è solo uno che sa cosa vuole. D’altra parte i vincenti li puoi dividere in due categorie: quelli che mirano al grande traguardo e quelli che cannibalizzano tutto. Bollini è della seconda specie. “Mi riconosco anche la vittoria del campionato di Terza. Perché vincere è difficile sempre, a prescindere dalla categoria”. Momenti duri ce ne sono stati. “Una delle mie capacità è stata reinventarmi. L’ho fatto come commentatore, come insegnante all’università, con i camp. Però la mia vita è la panchina”. Bollini è curioso. Prova tutto. Ha fatto l’Eroica in bicicletta, ha una moto, ama i ristoranti di qualità. Viaggia, ma appena può torna nella sua terra.

Il successo contro il Portogallo è figlio di tutto questo. Di una capacità di stimolare i giovani, di rendere il momento leggero e solenne allo stesso tempo. Prima della finale Bollini si è fatto inviare tre video da giocatori campioni del mondo 2006. Li ha mandati a tutto schermo. “La prima cosa che ho detto ai ragazzi è stata: “Non è una rivincita”. Poi gli ho mostrato tre foto molto significative per la nostra avventura. E in quei giorni aveva compiuto gli anni Kayode. La sera del compleanno mi era venuta - non so perché - quella canzone lì, dài, quella che fa cabriolet panorama. Beh, l’abbiamo fatta diventare: Kayode panorama. L’abbiamo cantata anche il giorno della finale all’ultima riunione tecnica”. Leggerezza, ma anche una preparazione meticolosa, attenta. Bollini ha studiato, e continua a farlo. Perché anche il calcio si aggiorna. “Dico una parola: tuttocampista. È vera. Oggi il difensore deve saper difendere e impostare, l’attaccante deve fare gol e difendere. Una volta li dovevi convincere. Oggi no. Tutti devono saper fare calcio. Da un lato questa cosa ha penalizzato la generazione dei centravanti. Abbiamo gli universali, ma il bomber degli ultimi trenta metri l’abbiamo perso”. Talento, dice, “ce n’è tanto: ci sono società che hanno la forza e il coraggio di valorizzare il singolo, altre che non riescono a colmare il gap enorme tra Primavera e prima squadra. La dispersione è data anche dall’assenza delle categorie intermedie. Per il futuro ho fiducia: le under 23 possono aiutare. E ovviamente il lavoro che si fa con il Club Italia”.

Intanto Bollini continua a insegnare l’abc, perché le basi solide contano. “Non c’è un mio allenamento senza conclusioni a rete. Nel basket ci sono i ventiquattro secondi, io faccio che entro il minuto bisogna tirare. Se il ragazzo perde il senso della porta che fai? Più tiri, più situazioni da tiro. E più autoricerca della conclusione. Prendi i Boninsegna, i Vieri, i Toni. Questi si autocontrollavano la palla e poi tiravano”. Bollini spiega, spiega, spiega. Il punto è che ha ragione. Glielo hanno detto anche i suoi ragazzi campioni d’Europa. “Dopo la finale uno dei ragazzi mi dice: “Mister, ci avevi detto che se giocavamo così contro la Spagna sarebbe finita bene per noi, e avevi ragione. Ci avevi detto che in finale se avessimo fatto così sarebbe andata in un certo modo, e avevi ragione. In più Kayode ha fatto gol. Oh, le hai azzeccate tutte”. La più bella soddisfazione è questa credibilità”. Per festeggiare sono andati tutti in discoteca. I ragazzi gli hanno cantato “Bollo is on fire”. Ah, benedetta gioventù.

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