iL RITRATTO DI BONANZA

L'addio di Buffon e la follia di un portiere

Alessandro Bonan

La forza di un uomo come lui, l'ultimo campione del mondo del 2006 che era ancora in attività, sta nella sua linea di follia. Per sempre tesa, che mai si spezzi

E così mentre un padre ci lascia, i figli invecchiano. Gigi Buffon abbandona il calcio e il dibattito aperto sulla sua superiorità non ha senso. E’ stato certamente il migliore per circa vent’anni, un’epoca gigantesca per un calciatore, ma prima e (chissà) dopo, altri sono stati e saranno ancora grandiosi e infiniti come lui, nonché diversi. Di Buffon mi ha sempre colpito il contrasto tra la fragilità dichiarata fuori dal campo (ha ammesso ad esempio di aver attraversato albori di depressione), e l’onnipotenza mostrata sul campo, dove non si capiva mai la fine del suo corpo e l’inizio dell’impossibile. Sapeva districarsi tra le pallottole e rimanere incolume, eroe di un fumetto animato.

Fisicamente mostruoso, è stato tecnicamente diseguale, con un lato impreciso che ne esaltava la capacità di improvvisare nelle situazioni apparentemente definitive, nelle quali ormai, l’osservatore di parte, il comune mortale, si portava la mano sulla fronte per il segno della croce, che la fede è un sentimento a cui conviene cedere. E a tal proposito, il mistico Buffon, da sempre religioso al punto da frequentare la chiesa praticamente ogni giorno, ha fatto credere a molti al miracolo che si potesse giocare anche a cinquant’anni. 

C’è quasi riuscito, sconvolgendo tutti quelli che raggiunta una certa età si danno al golf (io per primo), e già fanno fatica a camminare oltre una certa distanza.  Buffon ci lascia alcuni figli parecchio lontani dalla sua bravura. Donnarumma sembra invecchiato di colpo, meno elastico degli esordi, più impaurito, e ancora in difficoltà a gestire il pallone con i piedi, nonostante le innumerevoli esercitazioni tecniche a cui è stato sottoposto. Resta il migliore, ma Buffon, conquistata la titolarità nel Parma, ha macinato chilometri di certezze senza sbagliare un colpo. Prima di lui, il mio preferito è sempre stato Zoff, e a dire il vero, non so nemmeno spiegare il perché. Non basta il fatto che quando vinse il Mondiale ero già grandicello per apprezzare, credo vi sia dell’altro. Zoff è stato un portiere carismatico, senza possedere nulla del protagonista.

Era assente tra i pali, come un alunno seduto all’ultimo banco, mimetizzato con il muro. A chi pensava che fosse timido, rispondeva con gesti esatti, composti: insolito genio senza sregolatezza. L’ho conosciuto meglio un giorno a Roma, parecchi anni dopo il suo ritiro dalla panchina azzurra. Mi raccontò un paio di barzellette che non avrebbero fatto ridere nessuno se non le avesse dette lui. E infatti risi, risi di gusto, senza piaggeria, con sincerità. Ho pensato: la forza di un uomo, anche di un uomo mite e candido, sta nella sua linea di follia. Per sempre tesa, che mai si spezzi.

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