addii (o arrivederci?) rossoneri
L'abbaglio Charles De Ketelaere
Dopo un anno parecchio deludente, il belga lascia il Milan per giocare con l'Atalanta. Il numero 90 nelle canzoni di Jacques Brel
Neanche un anno fa, su YouTube guardavo in loop il gol che, in un Belgio-Italia, aveva fatto a Donnarumma beffandolo con un tunnel di fattezza quasi maradoniana. E come me, ne sono certo, lo guardavano migliaia di milanisti. C’era una compiaciuta e maliziosa soddisfazione nel vedere che quel pallido prence fiammingo con la zazzera bionda e a spazzola di un Rivera ventenne, uccellare il povero Gigio. E invece non è passato forse neanche un anno e siamo già ai saluti. Personalmente, ma so di essere stato in buona e nutrita compagnia, ho davvero creduto – e pervicacemente a dispetto dei primi sospetti di abbaglio – che Charles De Ketelaere da Bruges potesse diventare il nuovo Golden Boy rossonero.
E invece no: la musica è finita, i belgi se ne vanno, che inutile stagione, CDK mio! Al Milan del nuovo corso post Maldini questa estate è iniziata la de-belgizzazione della squadra: Axel Vranckx rispedito al mittente, Divock Origi “fuori dal progetto” – come si dice oggi, con irritante eufemismo, al posto di “trovati un’altra squadra” –, Alexis Saelemaekers anche lui sempre più in bilico ma, soprattutto, con Charles De Ketelaere in partenza per Bergamo.
Mai fortunati i belgi al Milan. Nell’estate del 1981, dopo aver scontato l’anno di Purgatorio in Serie B, causa calcio-scommesse – “pagando”, come diceva il velenoso avvocato Prisco –, i rossoneri sembravano a un passo dall’acquisto di Jan Ceulemans, talentuoso cavallone guarda caso proprio del Bruges. Poi Jan ascoltò la voce della mamma – neanche fosse quella di Lukaku… - che gli consigliava di non partire e restò in Belgio. Così il Milan comprò Joe Jordan e l’anno dopo si ritrovò ancora in B: questa volta “a gratis”, sempre secondo l’avvocato Prisco. Passarono due anni, e i rossoneri, ritornati in A, si assicuravano le prestazioni di Eric Gerets, terzino destro dello Standard Liegi e capitano della Nazionale belga. Sembrava l’uomo giusto, tosto e barbuto: segnò anche un gol al suo esordio a San Siro – ma in quel 4-2 al Verona segnò anche Luther Blissett, per dire… – poi un infortunio lo tenne lontano per un paio di mesi e, al suo ritorno, fu fermato da una squalifica della Federazione belga per aver avuto un ruolo-chiave in un caso di corruzione sportiva quando ancora giocava nello Standard. E il Milan di Giussy Farina lo licenziò in tronco. Erano lontanissimi i tempi in cui Louis van Hege, sette anni in maglia rossonera, che in cinque stagioni, dal 1910 al 1915, e 88 partite segnava 97 gol: e che, a dar retta alla pubblicistica dell’epoca, pareva un Van Basten ante litteram.
Ma tornando a CDK, io, lo ripeto, ci ho creduto a lungo alla palingenesi del numero 90. Che, bisogna pur dirlo, non è che fosse un numero felicissimo: bastava buttare un occhio alla Smorfia napoletana per capire che si portava addosso tonnellate di paura. Paura che, col passare dei mesi, per il povero biondino si è trasformata in timor panico al cospetto di un San Siro nei suoi confronti dapprima curioso e confidente, poi incoraggiante, quindi tollerante ma, alla fine, irrimediabilmente desolato. Pergolettese a parte – anche qui, le ironie si sono sprecate da parte delle jene, come chiamava Giovanni Arpino i cronisti sempre pronti a sguainare il canino, però solo di fronte ai moribondi –, CDK aveva fatto baluginare qualcosa che assomigliava all’arte fiammeggiante del secolo d’oro della sua città: un controllo orientato, uno strappo a centrocampo, un passaggio smarcante – trasformatosi in assist invero una volta sola, in una partita di fine agosto 2022, a San Siro, contro il Bologna, per l’1-0 di Leao.
Poi, la fiamma si è affievolita sempre di più, sino a spegnersi. Un Mondiale anonimo. Una seconda parte di campionato triste come una Quaresima. Tra campionato e Champions League, Charles De Ketelaer ha giocato 38 partite, di cui 12 da titolare e le altre da subentrato, per 1.345 minuti. Ha una discreta media di passaggi riusciti (intorno al 75 per cento) ma è deprimente, per uno che è stato comprato per giocare in attacco, il dato dei 16 tiri, di cui solo 5 nello specchio della porta e degli zero gol. Dell’unico assist abbiamo già detto. Dati che dicono che le occasioni per farsi valere ci sono state. Ma non sono state sfruttate. Il biondo di Bruges si è ingrigito in fretta ed è come se di fronte alla maestosità di San Siro gli fosse venuto un colpo apoplettico, lo stesso che mandò in fin di vita il suo quasi omofono, ma ben più vibratile, Charles Baudelaire che, una mattina di marzo del 1866, rimase secco davanti alla magnificente facciata barocca del duomo di Namur, giustappunto Belgio.
Ho invano sperato che il giovane, spaurito Charles potesse essere finalmente ispirato, nella sua avventura di conquista del palcoscenico di San Siro, dalle canzoni di Jacques Brel, anche lui partito settant’anni prima dalla provinciale Bruxelles per incantare i teatri di Parigi. Che, mentre gli sussurravo "Non Charles, t’es pas tout seul", ce la facesse a lasciarsi alle spalle quel suo "plat Pays" che, a ben vedere, non è poi tanto diverso dalla piattissima Pianura padana e dalla Milano-Mediolanum "avec un ciel si gris qu’un canal s’est pendu", con un cielo così grigio che un naviglio si è impiccato. Ho sperato che CDK potesse da Brel ereditare un pizzico di quella visionarietà che l’avrebbe spinto a "rêver un impossible rêve", a sognare un sogno impossibile, quello di incarnare, oltre che la zazzera, anche lo spirito di Gianni Rivera.
Invece niente. Mentre si appresta a vestire di nuovo una maglia nerazzurra – anche questo triste presagio forse un poco sottovalutato – siamo arrivati a "Il faut oublier / tout peut s'oublier / qui s'enfuit déjà. / Oublier le temps / des malentendus / et le temps perdu / à savoir comment", al bisogna dimenticare, perché tutto si può dimenticare, chi se ne sta già andando, dimenticare il tempo dei malintesi e il tempo perduto a chiedersi come.
E a noi, vecchi e incalliti amanti rossoneri, non resta che aprire la porta a un Pulisic, a un Musah o a un Chukwueze e dire "Au suivant! Au suivant!", avanti il prossimo! con la voce stentorea di un ufficiale in servizio "au bordel ambulant d’un armée en campagne".