Foto Ansa

Olive #1

Mai dire Jens Cajuste

Giovanni Battistuzzi

Il nuovo centrocampista del Napoli ha iniziato nel peggiore dei modi la sua avventura in Serie A: un calcione da rigore a un avversario e un fuorigioco che ha vanificato il gol del 1-2 di Raspadori. Eppure lo svedese ha fatto intravedere qualcosa che vale più di un buon auspicio per il futuro

È sempre d'uopo cercare di fare bella impressione quando ci si presenta a qualcuno. Soprattutto nel calcio, perché è un attimo passare per quello scarso, per quello che fa salir l'ansia solo a leggerlo nella formazione titolare. Fortuna vuole che quando c'è un pallone di mezzo tutto è magmatico e riscrivibile e a volte ci si dimentica in fretta della prima impressione. Si trova sempre una scusa per il cambio di opinione. Tipo: vabbé si può mica giudicare un libro dalla copertina, sarà stato l'affanno da prima volta. O altre frasi fatte del genere. Una via di fuga la si trova sempre. E sempre vale anche il contrario: passare da fenomeno a pippa è un attimo. I tifosi hanno il vizio del giudizio inappellabile. Va sempre così quando il troppo sentimento restringe il campo della razionalità.

Succede ovunque. E in questo ovunque c'è anche Napoli. Sugli spalti dello stadio Benito Stirpe a Frosinone, davanti alle tv, sono stati in parecchi a pensare che dopo l'addio di Cristiano Giuntoli – finito a provare a fare alla Juventus quello che gli è riuscito molto bene a Napoli, il direttore sportivo, pardon il Football director, in bianconero si chiama così – la società avesse preso un granchio. Jens Cajuste s'è presentato ai loro occhi rifilando un calcione a Jaime Baez del Frosinone in piena area dopo quattro minuti. Rigore, 1-0 per i ciociari. Un intervento talmente maldestro che ci fosse ancora Mai dire gol sarebbe finito in “Vai col liscio”. Nemmeno mezz'ora dopo e qualche passaggio impreciso, Cajuste aveva vanificato, finendo in fuorigioco, il secondo gol del Napoli, al quale aveva partecipato mettendo in mezzo il cross sul quale Giacomo Raspadori aveva pasticciato, prima di segnare sfruttando l'assist acrobatico di Victor Osimhen dopo il traversone di Matteo Politano.

La partita di Jens Cajuste è durata un tempo. Il rientro in campo di Frank Anguissa ha messo le cose a posto, il centrocampo dei campioni d'Italia è tornato a girare per bene e i tre punti i giocatori diretti da Rudi Garcia se li sono portati a casa.

Tutto bene, salvo per Jens Cajuste.

Era arrivato a Napoli nove giorni prima ed era cosa risaputa, almeno tra i tifosi, che fosse bravo. Sono pochi nove giorni, abbastanza per scendere in campo da titolare, sufficienti per iniziare a dubitare di lui. Di attenuanti ce ne sono a pacchi, ma contano sempre il giusto, cioè poco o niente quando c'è di mezzo il tifo. Eppure in quei quarantacinque minuti disastrati al Benito Stirpe di Frosinone, Jens Cajuste ha fatto intravedere qualcosa che vale più di un buon auspicio per il futuro: la capacità di guardare il pubblico, ammettere l'errore, ripartire. Ha sempre fatto così lo svedese sia al Midtjylland, sia allo Stade Reims: ha sbagliato, a volte fatto disastri, s'è assunto le sue risponsabilità, non l'ha più rifatto. E ha iniziato a giocare come sa fare: recuperando palloni e ripartendo, dando e prendendo botte, portando il pallone in avanti, con la testa alta pronto a darla a chi è più forte di lui. Disse in Francia: “Sono un buon giocatore, ma c’è gente migliore di me. Io ho un compito: aiutarli a dare il meglio. Corro e prendo botte per loro”.

   


  

Anche quest'anno c'è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all'aperitivo.

Di più su questi argomenti: