Contro Mastro Ciliegia
Ulivieri e il deep state del calcio
Il complotto per far cadere l'ex commissario tecnico della Nazionale italiana di calcio Roberto Mancini, e altre sicumere rosse
"Mi sembra una faccenda molto vaga e poco chiara, se devo essere sincero”. Poco chiara. “Ho l’impressione che nei prossimi mesi, o chissà anni, salterà fuori il retroscena decisivo”. Decisivo. La strage di Bologna? Via Fani? Le dichiarazioni del ragionier Spinelli sulle elargizioni liberali del Cav. a Dell’Utri? Macché. E’ pur sempre agosto, ma il livello è anche più da spiaggia o da osteria: è Renzo Ulivieri che prova lo schema fascettiano, “un due tre casino!” sulle dimissioni del Mancio dalla Nazionale. Ci ha lasciati in gloria e con il gran saluto dell’Olimpico e della “sua” Ascoli Carletto Mazzone, allenatore senza peli sulla lingua e se li aveva te li sputava dritti in un occhio. E a noi orfani di cotanto filosofo sincero tocca ora, per di più, la pena delle esternazioni del suo quasi coetaneo Renzo Ulivieri, l’allenatore rosso nel pallone che in carriera non ha lanciato Totti né insegnato calcio a Guardiola. Eppure è inspiegabilmente presidente dell’Associazione allenatori da ben quattro mandati: strepitoso, per uno in pensione dal 2008. Inspiegabilmente, forse però no. Basta leggere le sue stupidaggini sul gomblotto per far cadere il Mancio (esiste dunque un deep state che è la vera storia del calcio italiano, come per la Trattativa?), e si capisce tutto: perché sia rimasto comunista e perché se ne stia lì, senza meriti di carriera e di sostanza.
Certo, se la cronista (della Verità) parte con una domanda sgangherata, “cosa si dice nell’ambiente calcio? Quali sono i veri motivi dell’addio di Roberto Mancini?”, è inevitabile che l’intervista prenda una piega da teatro dell’assurdo. Ma per rispondere: “Ho l’impressione che salterà fuori il retroscena decisivo”, bisogna essere dei Ranucci del pallone. Il livello occulto, le verità nascoste. Sulle dimissioni di un ct? Non significa nulla, ovviamente, è solo il tic condizionato di un paese, di una certa parte di paese, sempre pronta a vedere il male oscuro dietro ai fatti che semplicemente non comprende (che cosa ci deve essere poi da comprendere? Un ct ha lasciato la Nazionale, mica ha fatto la scissione della Bolognina). Ma Ulivieri non è un (ex) allenatore qualsiasi. In panca non ha mai combinato molto, ma se sta ancora lì è perché si è sempre seduto sullo sgabello dell’antisistema a dire: compagni miei il calcio è marcio, ma per fortuna ci sono io. Manco fosse il colonnello Lobanowsky (detto con pardon, colonnello).
Il geopolitico da San Miniato non si tira indietro neanche davanti al domandone: “E se avesse già firmato con l’Arabia saudita?”. Quando non sa rispondere, il complottista adombra un inesistente saperla lunga: su Ustica, sul razzismo nei parà, sugli extraprofitti. “Non le dirò qual è la mia idea”. E la cronista ci cade con tutte e due i piedi, nel trappolone: “Si è cambiato in meglio?”. E il mister antimercatista “Al contrario: avere i paesi arabi che si comprano tutto è un problema non solo per noi, ma anche per Uefa e Fifa. Perché diventa un mercato falsato, c’è poco da aggiungere. Si sa che non ho particolare simpatia per il libero mercato”. Si sa. Ha poca simpatia. Per il mercato. Ma il doppio stato, noi che sappiamo ma non abbiamo le prove, eh, ragazza mia… Che pena, che ridere.