Budapest 2023
L'oro di Gianmarco Tamberi è un altro capitolo del grande romanzo familiare dello sport azzurro
Il saltatore marchigiano vince nel salto in alto ai Mondiali di atletica di Budapest 2023 saltando 2,36 al primo tentativo, interrompendo così il dominio di Mutaz Essa Barshim. Poi la dedica al padre e il ritorno al sentimentalismo
Quei 2 metri e 36 centimetri saltati al primo tentativo ai Mondiali di atletica di Budapest 2023 – gli stessi saltati dall’americano JuVaughn Harrison, ma al secondo – hanno permesso a Gianmarco Tamberi di completare quanto iniziato a Tokyo, in quella sera – da noi primo dopopranzo – capace di stravolgere completamente la storia dell’atletica azzurra. Oro olimpico, oro europeo, ora oro mondiale. Il miglior saltatore in alto al momento in circolazione senza dubbio alcuno.
Vincere con due metri e 36 centimetri è cosa buona, si è vinto con meno in questi anni, sia ai Mondiali sia alle Olimpiadi. Anche Mutaz Essa Barshim, tre volte oro mondiale prima di Tamberi, che è stato capace di saltare 2,43 in carriera (seconda misura della storia dietro all’inarrivabile Javier Sotomayor: 2,45), ha sempre vinto su quelle misure, al massimo 2,37-2,38. Appena qualche centimetro in più di quanto saltò Vladimir Yashchenko, ma ventrale. Ai Mondiali, alle grandi competizioni in genere, c’è il peso dell’ambizione e la preoccupazione di non farcela a far aumentare la gravità. Gianmarco Tamberi non è mai andato tanto oltre a queste misure, in carriera ha raggiunto al massimo i 2,39, ma le ha sempre saltate nei momenti e agli eventi giusti. E non è cosa da poco.
Toltosi di dosso il peso della gravità Gianmarco Tamberi si è esibito in una nuova tarantolata gioia, fatta di salti qua e là, di felicità assoluta scorrazzata in pista, senza questa volta però, la memorabilia di una foto ricordo inimmaginabile e per questo incredibile. Marcell Jacobs aveva già corso e si era fermato alle semifinali dei cento metri, in giro per lo stadio c’erano i premiati della 3.000m siepi, il marocchino Soufiane El Bakkali e il keniano Abraham Kibiwot e ha gioito con loro. Sono atleti eccezionali El Bakkali e Kibiwot, ma per il pubblico non era lo stesso. Tokyo è irripetibile, il tuffo nella pozza della siepi ce lo scorderemo presto. Prima senz’altro di quella medaglia che tutti sussurravano che potesse arrivare, ma in pochissimi lo dicevano davvero perché si sa che la scaramanzia la fa sempre da padrona alle nostre latitudini.
È storia italianissima la vittoria di Gianmarco Tamberi, una bella commedia all’italiana, una di quelle del filone familiare, à la Padri e figli o Brutti sporchi e cattivi. “Mi sono caricato di tante responsabilità. Non è stato facile separarmi da mio padre. Ho vinto una nuova sfida, è stato un percorso che mi dà energia. Dedico la medaglia a mio padre, con cui non parlo da un po’”, ha detto con la medaglia d’oro al collo.
Oltre a essere suo padre, Marco Tamberi era il suo allenatore. Le loro strade si sono separate un anno fa, a luglio, prima dei Mondiali di Eugene: non andò benissimo, fu quarto. Disse all’epoca Gianmarco: “In questi anni di collaborazione a grandi risultati si sono alternate altrettanto grandi divergenze. Questa scelta alla vigilia dei Campionati del Mondo, presa con doverose cautele e un pizzico di coraggio, nasce dall’analisi della stagione fin qui disputata. Siamo ben al di sotto delle aspettative tecniche e c’è stato uno scambio di opinioni su cosa non stesse funzionando fin qui nella preparazione, ed è emersa una diversità di vedute”.
Se in giro per il mondo si compete per competere, per dimostrare di essere i migliori, in Italia va sempre a finire che si compete per dimostrare ai propri padri e alle proprie madri di essere i migliori. C’è niente di male, è nella nostra cultura: siamo pur sempre tra gli ultimi in Europa ad andare via di casa, i primi al mondo per citazioni familiari nello sport. Se ne era accorto Antoine Blondin. Sull’Equipe scriveva: “In Italia ci sono senz’altro famiglie bellissime, rapporti profondi e incantevoli e d’amore. Mammà e papà ci sono sempre tra le labbra degli italiani che alzano al cielo il trofeo e a parole e con la mente tornano a casa”.