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Olive #2

Adattarsi a Luis Alberto

Giovanni Battistuzzi

Lo spagnolo della Lazio corre, ma sembra non correre, si muove ma sembra non muoversi, contrasta e recupera, ma sembra sempre assente, lontano. La sua flemma però non è irritante, ha dentro ciò che nel calcio sembra bandito, ma che in realtà ci affascina: la fissità

Sarebbe da avercela con Josep Martínez che di mestiere fa il portiere del Genoa. Sarebbe da chiedergli: perché hai fatto quello che hai fatto?, perché non ti sei limitato a osservare quanto di bello c’era e hai voluto aggiungere bellezza alla bellezza? Sarebbero domande inutili, avrebbe risposto semplicemente che quello e solo quello doveva fare: parare, evitare che il pallone lo superasse. Al cinquantesimo minuto e quarantasette secondi di Lazio-Genoa, Josep Martinez ha fatto un balzo verso sinistra, ha alzato il braccio destro e ha deviato quel tanto che bastava il pallone calciato da Luis Alberto. Una parata stupenda al termine di un’azione stupenda capace di unire il rococò della finta di Mattia Zaccagni e il romanico del tiro dello spagnolo, un arco a tutto sesto semplice ed elegante come quelli che si trovano in certe chiese sopravvissute allo stratificarsi dei gusti del tempo.

Luis Alberto è andaluso, è come una chiesa andalusa immobile nel tempo. Vive sospeso in un mondo a parte, fatto di un calcio che non esiste più ma che riesce comunque a sopravvivere in lui e solo in lui. Luis Alberto corre, ma sembra non correre, si muove ma sembra non muoversi, contrasta e recupera, ma sembra sempre assente, lontano. Fa tutto questo con una flemma che al tempo del suo arrivo in Italia, stagione 2016-2017, aveva fatto irritare tutti. Era stato preso per sostituire Antonio Candreva passato all’Inter. I tifosi si aspettavano un esterno di forza e corsa, si sono trovati un giocatore che sembrava avere né forza né corsa. Lo chiamavano “Ballerino”, “Lupo Alberto”, lo fischiavano. Pure Simone Inzaghi non sapeva che fare. Era estate quando le telecamere lo beccarono mentre chiedeva al vice: “Ma che ci faccio io con uno così?”.

Provò ad adattarlo qua e là: esterno sinistro, seconda punta, trequartista, interno di centrocampo. Gli ci volle più di un anno per capire che si doveva adattare lui. Per Luis Alberto ne valeva la pena. Ne è valsa la pena.

È strano come pochi attimi di fissità in un calcio veloce e pieno di corse e contrasti possano sembrarci magnifici. Quegli attimi spesso coincidono con il momento in cui Luis Alberto prende palla. Con calma guarda cosa accade, valuta tutte le variabili, analizza le alternative, poi con un tocco, molto più veloce di qualsiasi movimento, manda il pallone dove vuole, dove secondo lui è meglio che vada. Quasi sempre va dove vuole farlo andare.

Gli ultimi attimi di fissità sono avvenuti in area di rigore del Genoa. Luis Alberto riceve un cross delicatissimo di Zaccagni, liberatosi con un’elegante finta di corpo, stoppa il pallone con il sinistro e si ferma. E tutto sembra fermarsi con lui. Con il sinistro si sistema la palla e con lo stesso piede, sempre senza muoversi calcia una parabola morbida morbida. Sarebbe stato un gol meraviglioso, c’ha pensato Josep Martínez a trasformarlo nella più bella cosa mai successa.

La flemma di Luis Alberto non è fastidiosa, non lo è mai stata, se non agli inizi. Ci vuole però sempre del tempo per abituarsi al nuovo, o forse all'antico che in un mondo che cambia a volte ci appare come una novità. È di quelle flemme affascinanti e ipnotiche, tipo quella che metteva in campo, in mezzo al campo, Andrea Pirlo nei suoi anni migliori, quelle che concedeva Dejan Savicevic quando aveva voglia di dimostrare quanto talento c'era dentro la maglia numero 10 rossonera. Il montenegrino a volte esagerava, si astraeva completamente dal campo, restava assorto a contemplare la bellezza del suo calcio. Luis Alberto negli anni ha imparato a connettersi di più con il campo che con il suo iperuranio, ha imparato a essere utile e non solo piacevole.

Lo spagnolo è riuscito a imparare e in fondo è questo ciò che di meglio gli è riuscito in queste stagioni. Sia Simone Inzaghi che Maurizio Sarri lo hanno sottolineato in questi anni. Hanno ammesso di essersi sbagliati sul suo conto, che quello che all'inizio sembrava sbagliato per loro, in realtà non lo era, che Luis Alberto era giusto così, mentre piano piano ha cercato di venire incontro ai suoi allenatori, limare ciò che non andava. Sa ascoltare Luis Alberto e quello che sembrava all'inzio insofferenza e indolenza era in realtà solo timidezza, difficoltà a dire agli altri: fidatevi di me, prendiamoci il tempo per conoscerci, vedrete che sarà un bel viaggio.

 


     

Anche quest'anno c'è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all'aperitivo.

La prima giornata è stato il momento di Jens Cajuste (Napoli).

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