Lautaro Martinez (Ansa)

Il Foglio sportivo

La nuova vita all'Inter di capitan Lautaro Martinez 

Giuseppe Pastore

Il Toro è rimasto solo nell'attacco nerazzurro. Poco male: è al posto giusto e nel momento giusto

In una Serie A in cui la maggior parte degli attaccanti è in oggettiva parabola discendente (Giroud, Lukaku, Sanchez) oppure in eterna rampa di lancio purtroppo verso altri campionati (Leao?, Osimhen?, Hojlund), Lautaro Martinez si trova al posto giusto nel momento giusto. Ventisei anni appena compiuti, l’età più bella per una punta: prima o seconda che sia, perché lo status tattico e gerarchico di Lautaro è cambiato profondamente tra Istanbul e Cagliari, dove lunedì sera ha calciato verso la porta di Radunovic per sei volte nel solo primo tempo – i suoi due compagni di reparto, prima Thuram e poi Arnautovic, non si sono mossi dallo zero. Di sinistro ha colpito il palo dopo una coordinazione poetica, di destro ha incenerito il portiere sul primo palo dopo aver mandato al chiringuito due difensori sardi.

 

Dopo cinque anni trascorsi sempre nell’ombra di qualcuno, da Icardi a Lukaku passando anche per l’ultimo Dzeko di cui era considerato un pari grado, adesso Lautaro è l’Inter nel senso più ampio e cristallino del verbo essere. La fascia da capitano al braccio, il numero 10 sulla schiena, la presa di possesso dell’intero reparto offensivo, tanto che nell’ultima settimana di mercato Inzaghi ha preferito dirottare i pochi milioni residui sul difensore Pavard accontentandosi volentieri del vecchio Sanchez: backup di Lautaro solo nominalmente, perché tanto il Toro le giocherà tutte.

Lautaro ha l’attitudine e il rendimento dello stakanovista, un workaholic alla Javier Zanetti. Nelle ultime quattro stagioni non ha mai avuto un infortunio superiore alle due settimane: qualche affaticamento, oppure il Covid, ma nessuno di quei guai che invece hanno afflitto per mesi i suoi compagni di reparto. I pochissimi detrattori gli rimproverano semmai i ripetuti periodi di eclissi mentale che lo colgono in momenti inopportuni e ne svelano il lato più umorale: nella scorsa stagione nessun gol dal 5 marzo al 19 aprile 2023, l’anno prima addirittura nessun gol dal 17 dicembre 2021 al 4 marzo 2022. Inspiegabili digiuni pannelliani di un attaccante sempre in forma smagliante, proprio per questo consapevole che le sue défaillance hanno un peso maggiore rispetto a chi gioca venti minuti per volta: le sue omissioni sotto porta sono costate a Inzaghi punti pesanti per assaltare gli scudetti 2021 e 2022. Anche se fino a giugno aver recitato da attore non protagonista gli ha procurato piccoli vantaggi anche nell’analisi della sconfitta: di Istanbul tutti gli interisti ricordano mal volentieri le sciagure perpetrate da Lukaku nell’ultima mezz’ora, ma l’oblio è sceso rapidamente sulla scelta sbagliata di Lautaro, quando si era ancora sullo 0-0, e lui ha preferito sparare addosso a Ederson il pallone della Storia, invece che appoggiarlo a Brozovic o a Romelu.

 

Certo, quegli assist non erano semplici. Certo, tutto il popolo nerazzurro vuole un bene dell’anima a Lautaro, e sempre lo ringrazia per non aver mai ceduto alle lusinghe del Barça o della Premier (con un pensiero anche a sua moglie Agustina, che a Milano sta benissimo e ci ha anche aperto un ristorante). Ma è pur vero che il pensiero della seconda stella è ormai divenuto assillante, e infatti abita ogni dichiarazione ufficiale di ogni tesserato interista in quest’inizio di stagione. Dopo aver visto per cinque volte Handanovic sollevare varie coppe e supercoppe, la continuità mentale è l’ultimo scalino che tocca salire a Lautaro per diventare una punta da 30 gol regolari a stagione e comparire nelle foto che valgono una carriera. Finalmente, da protagonista. 
 

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