Gli All Blacks hanno perso l'incantesimo della invincibilità
La sconfitta contro la Francia al Mondiale di rugby è solo l'ultima alla quale è andata incontro la Nazionale della Nuova Zelanda. Le ragioni della crisi dei furono invincibili della palla ovale
L’ultima partita, che era la prima partita del torneo della Coppa del mondo, l’hanno persa contro la Francia 27-13, allo Stade de France di Saint-Denis, Parigi. La penultima partita, che era un’amichevole - ammesso che nel rugby le amichevoli esistano -, l’hanno persa contro il Sudafrica 35-7, a Twickenham, Londra. In totale la percentuale delle vittorie è scesa al 76,7, il minimo storico, quando fino a poco tempo fa era ancora oltre il 90. Che cos’è successo agli All Blacks?
La caduta degli dei. Gli All Blacks sono una casta di superuomini sospesi fra magia e sacerdozio, di superatleti divisi fra spettacolo e missione, di ambasciatori amati e ammirati non solo in Nuova Zelanda ma dall’intero pianeta rugby. Tant’è che, dopo aver ceduto ai Bleus padroni di casa (e del campo), il primo atto è stato una dichiarazione ufficiale di scuse all’intera nazione. E se la leggenda vuole che gli All Blacks indossassero una divisa nera per celebrare il lutto della sconfitta dei propri avversari, adesso a deprimersi, sconfortarsi e rassegnarsi è proprio il paese consacrato al pallone ovale e ai suoi rimbalzi capricciosi.
La parabola discendente degli All Blacks è cominciata nel 2021. Tour nell’emisfero nord, culminata con due sconfitte in Irlanda e Francia. Un anno dopo, quando l’Irlanda restituì la visita, i neozelandesi furono superati in due dei tre incontri, cioè per la prima volta persero la serie in casa propria. I commenti furono impietosi, e si sono rinnovati anche dopo l’ultima sconfitta: i peggiori All Blacks del Duemila, i peggiori All Blacks della storia, i peggiori All Blacks di sempre. Il commissario tecnico Ian Foster ha salvato il posto, ma forse non la faccia. Nello staff è rientrato il suo predecessore, Steve Hansen. E anche se tecnici come Greg Feek, responsabile della mischia, e giocatori come Scott Barrett, seconda linea, si prodighino a rassicurare sullo stato di salute della squadra che – si diceva una volta – “tutti vogliono vedere e nessuno vuole incontrare” (Feek sostiene che saranno sufficienti pochi ritocchi per alzare il livello, Barrett giura che il serbatoio è pieno di benzina), le quotazioni continuano a scendere. Se prima dell’inizio della Coppa del mondo gli All Blacks erano al primo posto, oggi sono scesi al quarto dietro a Francia, Sudafrica e Irlanda.
Perché gli All Blacks hanno perso l’incantesimo della invincibilità? Perché giocano sempre di più. Perché, per giocare sempre di più, hanno dovuto allargare la rosa dei giocatori. Perché, giocando sempre di più, vengono osservati, studiati, analizzati sempre più profondamente. Perché tutte le altre squadre, compresa l’Italia, possono costruire difese più organizzate. Perché tutte le altre squadre, compresa l’Italia, basandosi ispirandosi e imitando gli All Blacks, hanno elevato il livello del proprio gioco. Perché da qualche tempo il gioco sembra poter contare su più organizzazione che fantasia, su più automatismi che improvvisazioni, su più schemi che libertà. Perché il professionismo ha elevato lo spettacolo ma penalizzato la letteratura, e forse anche la religione, con cui prima si tramandava e si consolidava. In "L’arte del rugby" (Einaudi), lo scrittore neozelandese Spiro Zavos spiega che "giocare e guardare il rugby era la nostra religione. I terreni dai quali seguivamo gli incontri erano le nostre cattedrali. I campi dove guardavamo giocare le squadre locali erano le nostre cappelle. I giocatori più bravi erano i santi e i teppisti avversari i peccatori. Gli arbitri che davano una punizione contro erano diavoli. Il grido di “Black! Black! Black!” che proveniva dagli spalti sotto forma di potente ruggito era la preghiera della Nuova Zelanda". E ancora: "Conoscevamo l’agiografia di tutti i più grandi giocatori: sapevamo come Bert Cooke, il piccolo, elettrizzante centro degli Anni Venti, un giocatore geniale, si infilò delle bottiglie di birra nelle tasche del cappotto per arrivare a pesare sessanta chili".
Le prossime tre partite rilanceranno gli All Blacks: venerdì 15 contro la Namibia a Tolosa, venerdì 29 contro l’Italia a Lione, giovedì 5 ottobre contro l’Uruguay a Lione, tre vittorie a valanga che ai neozelandesi daranno il secondo posto del girone dietro la Francia e il quarto di finale contro la prima del girone che qualificherà due fra Sudafrica, Irlanda e Scozia. Un dentro-e-fuori con la concreta possibilità di uscire dal torneo mondiale troppo presto, come già successo nel 2007, proprio contro la Francia.
L’incantesimo si è spezzato. Riaccenderlo non sarà facile.
Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA