Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA
Sinner e la rinascita mancata in azzurro
Il giocatore di San Candido, vivendo la nazionale come clima e vestendosi di Italia, avrebbe potuto dimenticare la delusione americana e risorgere dalle proprie ceneri. Un'occasione mancata
La parola nazione, etimologicamente, deriva dal latino natio, nascere. E da qui comincio per sostenere l’assunto, girando intorno alla questione, come fossi una bambola. Chi si mette la maglia della Nazionale, si veste della sua Nazione, e quindi si ammanta della sua stessa origine, “rinasce”, potremmo dire. Lasciando gli stracci della retorica sull’amor patriae appoggiati sopra il bracciolo di questa sedia su cui mi trovo a scrivere, direi che il concetto della rinascita sia talmente bello, anzi grandioso, da dover bastare a dire sempre sì a ogni convocazione in maglia azzurra. E invece succede sovente che l’atleta si opponga, e se non lui chi lo circonda. La Nazionale di Coppa Davis per questo motivo si è trovata in grave difficoltà a causa del no di Jannik Sinner.
Confesso la mia debolezza di fronte a qualsiasi gesto del giocatore di San Candido, che sia un diritto, un rovescio, o appunto un diniego. Ne sono talmente tifoso (può un giornalista essere tifoso? No, ma che ci volete fare, ho questa debolezza per la racchetta e tifo per un italiano), che gli perdonerei tutto, anche questa volée riuscita male. Eppure mi è dispiaciuto parecchio, e lo dico mettendomi dalla sua parte, perché dopo la partita con Zverev agli Us Open, perduta strisciando, al quinto set, in mezzo alla solita tempesta muscolare, una “rinascita” in Nazionale gli avrebbe fatto bene. Avrebbe dovuto rispondere alla convocazione, mettersi a disposizione e poi decidere con il capitano Volandri, se scendere in campo o meno. Vivendo l’azzurro come clima, vestendosi di Italia, per dimenticare la delusione americana.
Non è un appunto all’uomo, al giovane ragazzo, acerbo nei sentimenti, o per meglio dire, magari un po’ confuso. No, non è a Jannik che mi rivolgo ma alla sua gestione. Quando si fa sport, l’uomo viene prima di tutto, prima dell’atleta, del fisico, dei soldi e dei risultati. E quando si dice SÌ (tutto maiuscolo) alla Nazionale, si rispetta l’uomo, lo si mette al centro, facendo dell’uomo addirittura il “santo” a cui portare devozione. E adesso che sulla croce ci sono dei poveri cristi impegnati a farci sopravvivere, immagino i dubbi rimbalzanti come palline, dentro la testa fulva del giovane altoatesino. Ma poi riascolto i fischi a Donnarumma, le parole di Spalletti tese alla sopportazione, tutti gli inutili gesti della mano sul cuore, e alla logica del risultato e del denaro, e mi pento di tutto quello che avete appena letto. Che la “rinascita” è solo quella che io vorrei personalmente vivere, dentro l’azzurro di queste ultime malinconiche giornate d’estate.
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