Il foglio sportivo
Alla Ryder Cup in palio c'è solo la gloria
Il caso unico della competizione ospitata quest'anno in Italia, dove campioni abituati a premi milionari pensano solo alla squadra
Il trofeo è un piccolo capolavoro, un golfista in miniatura in cima a una coppa dorata, il cappello, la giacca, i pantaloni alla zuava, la tipica posa da giocatore delle origini, il gambo sottile, le maniglie filiformi. Così fragile, si direbbe impossibile che abbia resistito intatta dal 1929, quando Samuel Ryder decise di metterla in palio tra due squadre transatlantiche, e lo sport individuale più antico e tradizionale al mondo divenne una competizione a squadre, l’unica in cui l’Europa gioca unita. Per chi tifiamo è evidente ma la statistica come sempre è avversa, in un secolo di Ryder gli americani hanno perso solo quattordici volte.
Rory McIlroy, Jon Rahm e ora Victor Hovland, il giovane talento norvegese, vincitore della FedEx Cup americana, formano un terzetto che basterebbe a favorire la squadra blu, ma il pronostico è impossibile, la Ryder Cup è imprevedibile, non contano solo i campioni, conta la capacità di giocare insieme, colpo dopo colpo, nei fourballs e nei foursomes dei primi due giorni, conta lo scatto nei singoli della domenica, una giornata che spesso ha premiato la squadra in svantaggio, gli americani a Kiwah Island nel 1991, gli europei a The Belfry nel 2002, casi emblematici in cui la compagine più debole prevalse per spirito di squadra. Anche in questo l’Europa sembra più coesa, grazie alle wild card di Luke Donald, due giocatori di grande esperienza, Justin Rose, già numero uno al mondo, alla sua quinta Ryder Cup, quest’anno una stagione in crescita, a un soffio dal ritorno al successo e poi Shane Lowry, stagione sottotono ma il tocco e l’esperienza non mancano, la sua vittoria nell’Open a Royal Portrush è ancora fresca. Poi Nicolai Hojgaard e Robert MacIntyre, alla loro prima partecipazione ma già vincitori dell’Open l’Italia nel 2021 e 2023 proprio qui, al Marco Simone Golf & Country Club. Infine, a sorpresa, Ludvig Aberg, giovanissimo campione svedese, 23 anni, già numero uno al mondo Amateur, professionista da giugno, solo tre tornei sul tour. Solo Luke Donald, grande coraggio, lo poteva sceglierlo. Splendido segnale a sostegno di un grande talento, terzo scandinavo di una squadra che invece con Tyrell Hatton e Tommy Fleetwood arriva a Roma a trazione britannica, ma con campioni di nove paesi europei. Gli americani staranno a guardare? Mai sottovalutare una squadra che conta tra gli altri il numero 1 al mondo Scottie Scheffler e il giovane US Open Champion Wyndham.
Sarà una battaglia in cui dodici campioni, abituati a combattere in campo per premi da milioni di euro, per una volta, accade ogni due anni, giocheranno per la gloria. Gli europei con due vicecapitani speciali, i due fratelli Molinari, vincitori insieme della Ryder Cup del 2010 in Galles. Francesco è un gran motivatore, Edoardo è un uomo d’ordine e statistica, ha convinto lui Victor Hovland a mettere sotto sopra il gioco corto, scintilla di una stagione da dominatore che vede nel torneo di Roma il traguardo di una vita. Una manifestazione tutta da godere, in mondovisione (e su Sky), sotto gli occhi di milioni di persone, il secondo evento sportivo più seguito al mondo. Godiamocela tutta questa Ryder Cup, comunque vada, vincano gli europei o gli americani, sarà un grande momento di sport, con quella piccola coppa dorata ben alta verso il cielo, memorabile sigillo agonistico dell’idea visionaria di Samuel Ryder.
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