Vincenzo Italiano (Ansa)

Il foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA

Vincenzo Italiano. Un allenatore vero

Alessandro Bonan

Fa giocare in una maniera molto personale la Fiorentina, si è inventato uno stile, all'attacco. Il suo calcio è così coraggioso da sfiorare l’incoscienza

Lasciatemi cantare, perché ne sono fiero. Sono un italiano, un Italiano (maiuscolo) vero. Ancora non mi capacito di un fatto: perché nessuno ha mai cantato Cutugno allo stadio di Firenze? Misteri. Perché a Italiano, l’allenatore della Fiorentina, un coro del genere sarebbe calzato a pennello. Cutugno e Italiano si assomigliano (acrobazia). Stessa voce roca, stessa inclinazione alla risposta vagamente rissosa, stessa caparbietà nel difendere un’idea. Cutugno si ribellava ai critici di professione e piaceva al popolo, mentre a Firenze, popolo e critici sono la stessa cosa. Quindi Italiano, da una parte calcia un pallone in curva come una specie di vaffa metaforico e dall’altra bisticcia con la tribuna che gli sta dietro, da cui si sollevano complimenti (si fa per dire) in rima baciata.

 

Nel mezzo allena la squadra e la fa giocare in una maniera molto personale, da allenatore vero. Esterni alti, sia le ali che i terzini, linea difensiva quasi a centrocampo, quattro ruote motrici in spinta costante, tanto da rimanere qualche volta senza benzina. Il suo calcio è così coraggioso da sfiorare l’incoscienza. Perde, vince o pareggia (come a Genk) ma gioca, sempre. In due parole, è divertente. Poi, facendogli le pulci, vi si trovano difetti sparsi. Due su tutti: i suoi centravanti viola segnano poco (piccolo paradosso visto che gioca parecchio all’attacco), i suoi difensori prendono troppi gol sciocchi (è nel copione però la Fiorentina a tratti esagera). Ma, come in tutte le opere alternative, originali, tipiche di chi ha inventato uno stile, l’imperfezione certifica la mano dell’autore e l’autorizza a perseverare. 

Poi c’è il pregresso. Italiano da calciatore, faceva il regista basso, come si dice, vedeva bene la partita, sapeva sempre dove stare, cambiava il gioco con lanci lunghi, una sorta di Pirlo meno nobile, però forte anche nei contrasti. Questa centralità del giocatore, gli è rimasta appiccicata anche come allenatore. Nel senso che Italiano non si accontenta di sedere in panchina, scende letteralmente in campo, protagonista come gli altri, dodicesimo giocatore. Di lui colpisce la convinzione, tanto che a un suo calciatore che gli chiedeva maggior prudenza difensiva, ha somministrato la purga dell’esclusione dai i titolari per un tot di tempo. Messaggio chiaro: chi non ci crede, si faccia una girata a Settignano, dove dall’alto si scoprono miracoli. 

 

Dopo la finale di Conference perduta contro il West Ham, voleva andarsene. L’avrebbero anche mandato (a quel paese non se lo meritava), poi per fortuna qualcuno (è sospettabile Commisso), ha pensato che fosse il caso di insistere, puntando non sui fatti (la sconfitta), ma le interpretazioni (l’esserci). Sentendosi a prescindere comunque fiero di avere sulla panchina un italiano, un Italiano (maiuscolo) vero.