Foto Epa, via Ansa

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L'Italia del volley femminile si affiderà al guru Velasco per non pensare ai propri errori

Giovanni Battistuzzi

Davide Mazzanti lascerà la guida delle azzurre, al suo posto il ritorno del ct della Generazione di fenomeni. Quando le cose vanno male nel nostro paese ci si affida all’immagine sacra, inattaccabile perché è già stata vincente

Il futuro della Nazionale italiana di pallavolo femminile prenderà le sembianze del passato, non una rivoluzione, una restaurazione. Il ritorno al più grande sogno evaporato troppo presto ormai una vita fa, con qualche malumore di troppo. Serviva una svolta, serviva qualcuno capace di azzerare le polemiche, cancellare le delusioni per un finale di storia che tutti speravano migliore, vincente. Si torna a Julio Velasco, l’uomo che nel 1997 doveva ripetere tra le donne le gesta d’oro della Generazione di fenomeni, capaci di vincere tutto, e più volte, a eccezione delle Olimpiadi. Non fu così, c’è tempo per sperare che questa volta vada diversamente.

L’ormai fu commissario tecnico delle azzurre, Davide Mazzanti, domenica aveva compreso che il suo tempo sulla panchina della Nazionale era terminato. Il torneo preolimpico di Lodz si era concluso con una sconfitta contro la Polonia. La qualificazione all’Olimpiade di Parigi 2024 non era stata agguantata, era stata rimandata all’ultima opportunità utile, ottenere il pass grazie al ranking mondiale: la Nazionale femminile è al quinto posto, le prime quattro hanno già la certezza del viaggio e del pernotto a Parigi (ci sono ancora tre posti liberi per andare ai Giochi olimpici, ma uno è riservato a una Nazionale asiatica e uno a una africana; per l’Italia quindi l’unica possibilità di qualificazione è essere la migliore di tutte le altre: servirà una ottima World League per non farsi superare da chi sta dietro).

“Gli allenatori sono giudicati in base ai risultati…”, ha ammesso il fu ct. Lampante, pure banalotto, ma c’era poco da aggiungere. Ha dimenticato di dire che sul giudizio pesano solo i risultati più recenti, ma in fondo sarebbe stato del tutto superfluo. La vittoria agli Europei 2021, quella nella Nations League 2022, il bronzo ai Mondiali 2022 non valgono più, come non vale più il ritorno ai livelli delle grandi vittorie della Nazionale di Massimo Barbolini, ormai vecchie più di un decennio.
Nello sport, come nella vita, prima o poi ci saluta e il bene che si è fatto e che ci si è voluti viene sempre travolto dal presente, soprattutto se questo è tumultuoso, litigioso, animato di incomprensioni e porte sbattute più o meno in faccia. Soprattutto se c’è di mezzo chi non si dovrebbe mai mettere in discussione, ma lodare soltanto. O almeno così la pensano i più. Scegliere tra gruppo e individualità, tra coesione e talento, va bene solo quando si vince. Davide Mazzanti non ha vinto. Ha soprattutto fatto a meno dell’atleta più forte, quella Paola Egonu che, oltre a essere un’opposta di talento assoluto, è pure la diva del movimento, l’immagine migliore da utilizzare per farsi largo in un mondo sportivo occupato quasi completamente da altri sport, o meglio un sport solo.

Davide Mazzanti lo sapeva bene, ha scelto di andare avanti lo stesso con le sue idee, che poi è una: la squadra è un elemento nel quale gli atomi sono uguali tra loro. Non c’è alcuna reazione che può cambiare tutto ciò, non c’è atomo che può diventare più importante degli altri. Un paradiso socialista. Difficile spiegare questo, impossibile farlo capire senza sbertucciare la campionessa. Non lo ha fatto il ct, ha anteposto la salvaguardia della dignità dell’atleta, finendo sbertucciato lui stesso dai risultati. L’atomo Paola Egonu non era il solo a soffrire di uno stato di agitazione. La stabilità dell’elemento squadra era in agitazione, non poteva che collassare. E’ collassato.

Ed è in questa condizione di collasso che la Federazione ha fatto ciò che in Italia riesce meglio: evitare di pensare al perché questo è accaduto e limitarsi a cambiare, dando tutto in mano al guru, all’immagine sacra, inattaccabile perché è già stata vincente. Non un ct, una sorta di messia. Sperando che ciò che è stato si riproponga, sperando che si possa arrivare a dire che in fondo l’oro olimpico era l’unica cosa che mancava a Julio Velasco, sperando nel lieto fine.