a canestro
Dopo la batosta mondiale, l'America si aggrappa a LeBron James per un nuovo Dream Team olimpico
James ha già ereditato il peso di Michael Jordan al cinema, salvando i Looney Tunes nel sequel di Space Jam. Ora potrebbe farlo anche nel mondo reale, accollandosi l’epocale riscatto olimpico del suo paese
Lo ha ammesso anche coach Steven Kerr. “Le squadre Fiba sono davvero brave. Direi che il dibattito tra basket europeo e Nba può chiudersi qui: abbiamo molto da imparare da loro”. A partire da un quarto posto mondiale difficile da mandar giù. Come sempre il Team Usa era chiamato a vincere, come sempre più spesso succede ha deluso. E ora l’America del parquet fa i conti con la realtà. A parole dissimula, sdrammatizza. Fa perfino l’offesa, quando il connazionale Noah Lyles scatena un imbarazzante polverone mediatico. “Non sopporto che i vincitori dell’Nba si autoproclamino campioni del mondo”, dice il velocista che ha dominato – lui sì: oro nei 100, 200 e 4x100 metri piani – gli ultimi Mondiali di atletica. “Loro invece sono stati eliminati dalla Germania: campioni del mondo de che?”. L’etichetta world champions per chi conquista l’Anello è sempre stata formalmente scorretta. Ma ormai suona ridicola, risultati alla mano: dietro le facce di bronzo lo sanno anche gli inventori del gioco. Riflessione finita. Tocca tornare a preoccuparsi per la propria reputazione globale.
Era già successo, più di trent’anni fa. E l’elaborazione di una bruciante sconfitta – Seul 1988 – portò alla genesi del leggendario Dream team. Da una scoppola asiatica all’altra ci risiamo. Perché dopo Barcellona 1992, gli Stati Uniti hanno continuato a vincere senza mai più stravincere. Iniziando a perdere, semmai, anche con l’impiego di professionisti Nba: il flop mondiale nelle Filippine è il quinto nelle ultime sette edizioni. Ed è arrivato con la firma del miglior pacchetto di allenatori – oltre a Kerr, Erik Spoelstra e Tyronn Lue – che la lega possa offrire. Per questo va riscattato bene e presto. Per questo serve un cambio di marcia. O una suggestione-bomba: LeBron come Michael Jordan.
Non è solo dualismo atemporale fra ‘Goat’, per numeri sul parquet e impatto mediatico. James ha già ereditato il peso di His Airness al cinema, salvando i Looney Tunes nel sequel di Space Jam. Ora potrebbe farlo anche nel mondo reale, accollandosi l’epocale riscatto olimpico del suo paese: come Jordan ha già vinto due ori, ma è dal 2012 che non esce dai confini dell’Nba. Riabbracciare la Nazionale a quasi 40 anni, verso Parigi 2024, sa di svolta senza precedenti. Da stuzzicare perfino il Re. Secondo The Athletic, LeBron è già in missione: lui, via social, non ha negato. E proprio come Michael, ha in mente di circondarsi dei migliori giocatori del suo tempo. Già arruolati Curry, Durant, Davis, Tatum e Green. A stretto giro potrebbero seguire Booker, Irving, Lillard e Fox: praticamente un All-star team. Come mai si è più visto dal ’92.
L’obiettivo è garantire un lascito più duraturo. Spiega meglio Dwayne Wade, che con James ha condiviso una vita sul parquet. “Il gioco internazionale è duro”, ammette l’ex fuoriclasse in questi giorni, “mentre quello Nba è diventato soft: affrontare i palcoscenici lontani dall’America ha cambiato la mia percezione del basket. Ma intanto il resto del mondo ha continuato a crescere”. Lui il Mondiale non lo vinse mai, eppure è stato protagonista di quel ‘Redeem team’ che dopo il bronzo ad Atene 2004 si abbonò all’oro olimpico senza più toglierselo dal collo. Anche per questo, vincere e basta potrebbe non bastare al futuro squadrone di James. È dominare, che manca come l’aria agli Stati Uniti. A chi si incorona campione, pure quando campione non è.