L'Europa perfetta in una Ryder Cup perfetta
La compagine europea ha battuto quella americana. Una manifestazione, quella organizzata a Roma, impeccabile per percorso, gioco e organizzazione
Una domenica avvincente, con la squadra europea che ha riportato a casa la Ryder Cup, una vittoria 16 1/2 a 11 1/2 non senza fatiche, davanti a una festa di pubblico senza precedenti. Sei punti nei dodici singoli, le prodezze di Victor Hovland, Rory McIlroy e Tyrrell Hatton, il putt della sicurezza di Shane Lowry, giocatore simbolo per la sua grinta e la sua esultanza della capacità di fare gruppo anche contro i pronostici, perché la dura legge dei numeri dava gli americani per favoriti.
Grande merito di Luke Donald e del sistema di qualificazione, un mix perfetto tra ranking internazionale, risultati sul tour europeo e quel 50 per cento di wildcard che sono state davvero incisive. Senza Tommy Fleetwood, Shane Lowry, Justin Rose e Ludvig Åberg gli europei avrebbero avuto senz’altro una squadra più vulnerabile.
Una strada che sembrava in discesa dopo la partenza a razzo per l’Europa nei foursome del venerdì mattina, 4-0 e pallina sul tee dei fourball con già cinquantamila tifosi intorno al campo. Il primo rosso sul tabellone si è visto solo alle tre del pomeriggio grazie a Justin Thomas e Jordan Spieth, rimontati con pazienza da Hatton e Hovland, un incredibile putt imbucato alla 18 come per Jon Rahm e per Justin Rose, impeccabile sul putt, tre pareggi in extremis per buttare gli americani indietro di 5 punti. Zero vittorie in giornata, la prima volta nella storia della Ryder Cup e un margine di vantaggio, ora lo sappiamo, che è rimasto intatto fino alla fine.
McIllroy è stato decisivo soprattutto per la tranquillità infusa ai compagni. La coppia Fleetwood Mac nei foursome ha spopolato, mentre Rory nei fourballs ha guardato Fitzpatrick giocare il miglior golf del weekend. Le prodezze di Lowry e Rahm e la vittoria record 9&7 di Hovland e Åberg hanno tenuto la squadra a +5 con 12 singoli da giocare. Sarebbe stato un risultato migliore senza le prodezze del rookie Max Homa e i nervi saldi di Patrick Cantlay ieri pomeriggio.
Domenica pomeriggio dopo pranzo, durante i singoli, molto rosso sulla leaderboard con sette americani in vantaggio a partire dal numero uno al mondo Scottie Scheffler contro Jon Rahm nel match di apertura pareggiato dal campione spagnolo con una meraviglia alla diciotto. Il grande recupero non c’è stato grazie anche a chi è rimasto attaccato all’avversario, non solo i giocatori di esperienza come Tommy Fleetwood, suo ufficialmente il punto della vittoria, ma anche l’esordiente Robert MacIntyre prestazione superlativa del campione scozzese contro il fortissimo Wyndham Clark.
Conclusione perfetta di una Ryder Cup ospitata da un percorso perfetto, rough proibitivo e una lunghezza capace di spingere i giocatori a rischiare sulle buche di corte, con green difficili e spesso decisivi delle partite più equilibrate. Tutto impeccabile insomma, accanto alla competizione anche la logistica, il villaggio, i collaterali, l’attenzione per l’impatto turistico, soprattutto di medio periodo. Un modello organizzativo che sarebbe in grado di gestire un evento più grande, per dire un’Olimpiade, anche in un contesto disastroso come quello romano.
Mentre l’Europa guarda avanti con ottimismo, speriamo ancora con lo stesso capitano e l’Italia spera nella nascita di un campione, gli americani si interrogano. Chi accetterà di capitanare il team in vista della prossima Ryder Cup sul difficile percorso nero di Bethpage State Park, New York? Forse proprio Tiger Woods, il solo a battere il par di Bethpage nello US Open del 2002. L’unico campione in grado di risollevare le sorti della squadra rossa, in questi anni povera di personalità in grado di infondere il fuoco sacro necessario per vincere questa gloriosa competizione. L’uomo della riscossa americana, quella che anche noi attendiamo perché una Ryder Cup, per essere memorabile, deve essere sempre giocata all’ultimo colpo.