Crocicchi #7
La punizione che ha ridato Luis Muriel alla Serie A
Gasperini ha voluto tenere lui e non Duvan Zapata. Sembrava la scelta sbagliata. Contro la Juventus però il colombiano ha fatto rivedere cosa è capace di fare
Ci sono crocicchi e crocicchi. Quelli d’inizio partita si diramano multipli, apparentemente recuperabili da una rete metropolitana di parallele e perpendicolari: Eusebio di Francesco che prepara la trasferta di Roma con un inedito 3-4-3, salvo tornare presto alla difesa a quattro per via di un’infortunio (o le due occasioni euclidee per Marvin Cuni, crocicchietti dentro lo stesso match). Elogio di chi adatta il modulo a seconda dell’avversario, senza ricorrere a mere sostituzioni testuali malgrado i maledetti tre slot – da riaprire subito! – e Luca Mazzitelli che riporta il pallone a centrocampo col piglio di Obdulio Varela. I derby filosofici tra le squadre che hanno cambiato molto in estate, come Milan e Bologna, e quelle fedeli alla linea (anche quando non c’è), tipo la Juventus.
Le rotatorie di un’intera carriera sono altra cosa, quando all’apice dei gol subentra l’agognato trasferimento nella grande squadra, o invece questo sfuma all’ultimo secondo, forse per questione di documenti non preparati in tempo. Chissà quante volte è successo a Luis Muriel, che da oltre dieci anni – quando ne ha voglia – incanta gli stadi d’Italia, esclusa parentesi sivigliana: il colombiano gioca perché gli piace, perché ancora lo diverte, anche se non ha mai vinto niente. Un po’ come l’Atalanta, che ne sfrutta i servigi tardivi.
Durante le ore più calde del calciomercato, Gian Piero Gasperini ha deciso di trattenere lui a Bergamo, e non il connazionale Duván Zapata: non solo perché quest’ultimo aveva più offerte, o più redditizie rispetto al gioco al ribasso di Adriano Galliani. Ma anche perché, in cuor suo, sapeva di poter spremere ancora qualcosa dall’eterno sorriso ronaldesco di Lucho, parvenza indolente e dilezione ai piaceri: un calcio profumato di fiori commestibili e veloce come il vento tropicale, razza in via d’estinzione. Ma, in fin dei conti, un cursus inferiore al possibile, nonostante il piede sublime.
Allo stadio Azzurri d’Italia, rinominato per ragioni di sponsor (tempora, mores), è in corso l’ennesima rigenerazione da quando – correvano quindici giorni nel settembre del 2016 – il tecnico di Grugliasco rivoltò come un calzino la formazione e la rosa, introducendo fortissime dosi di gioventù assieme al cambio di modulo e alla fiducia incondizionata nel nuovo, presto corroborata dai risultati a tre punti. Da allora a Zingonia, assieme al mister, è rimasto solo Rafael Tolói, e a ogni fine di ciclo i rimpianti per ciò che poteva essere e non è stato sono maggiori rispetto alle effimere soddisfazioni per aver consolidato la Dea sempre più in alto di dov’era mai stata. In perfetta sintonia, appunto, con l’ondulata gaussiana di Muriel, il late guest at the party.
Che in questo inizio di torneo, a 32 anni, era destinato alla seconda linea, ai finali di partita, alle passerelle di Coppa Italia. Mossa della disperazione, se non affidamento alla pura tecnica del colpo singolo istantaneo: ma gli infortuni di El Bilal Touré e Gianluca Scamacca gli aprono prospettive interessanti. Settima giornata, scansioni fitte per il calendario internazionale: Atalanta-Juventus può eleggere l’alternativa alle milanesi e al Napoli. Partita sempre spigolosa, da quando i nerazzurri hanno raggiunto il recente status: Gasp inserisce Lucho al minuto 65, gli fa posto la nuova star Ademola Lookman, un Muriel apparentemente più ordinato e meno svagato. Nelle gambe il sudamericano ha mezz’ora, non di più: prova uno scatto dei suoi, di un tempo promettente, ma Weston McKennie e Federico Gatti gli fanno capire, con le buone, che non è cosa. Tre giri di lancetta, e i padroni di casa (con la divisa linda da messaggi commerciali) guadagnano un calcio di punizione nella trequarti offensiva. Luis Fernando Muriel Fruto, nato appena fuori dal carnevale di Barranquilla, non è mai stato il primo kicker seriale delle squadre per cui ha giocato: pur avendo segnato più volte dal limite, anche al Real Madrid. Spesso sotto la traversa, quasi mai agli incroci. Ma c’era sempre in formazione qualcuno che accampava diritti maggiori: i devoti al tiro a giro, i balisti della legnata, i furbi vocati al rasoterra pre “coccodrillo”.
Il numero 9, almeno quello gli è rimasto, si prepara. In fondo, quando si ha il suo piede incantato, il calcio da fermo non è mai una difficoltà. La barriera collocata a nove metri, forse meno. Sul pallone Muriel e il mancino Teun Koopmeiners, calciatore totale: il primo alza lo sguardo, punta la porta, calcia con solita morbidezza non felpata. La palla è indirizzata sotto la traversa, non agli incroci: Danilo e Moise Kean si inerpicano invano nell’aria, per impedirle di arrivare oltre. Sulla linea, Wojciech Szczęsny: un altro perennemente sottovalutato da chi, anche nella sua società, gli accosta sempre nuovi potenziali sostituti. Compie un passo a destra, spicca il volo: un secondo, forse due, ma il portiere polacco pare sospeso per sempre. La fotocellula non suona, nessuna attesa per la verifica di mezzo pallone al di là della linea: l’estremo bianconero la va a prendere tra il palmo e le dita, di sotto in su, spingendola contro la barra della salvezza e poi di rimbalzo in corner. Ripetendosi, alla bell’e meglio, quando lo stesso Muriel scaglia un fendente infido da fuori area, e Koopmeiners non ne approfitta; e poi ancora l’olandese, un rigore in movimento ma con la porta coperta.
Rimangono lo zero a zero, e i consueti rimpianti. La punizione di Muriel magari non avrebbe sancito l’esito del match: la Juve avrebbe ancora avuto il tempo per pareggiare, addirittura vincere, o l’Atalanta dilagare. Né determinato il prosieguo del torneo, lungo e ad ostacoli: ma una sua rete, e di tal fattura, ne avrebbe iscritto il nome nel registro del grande calcio, reinserendolo entro una mappa nella quale latita da tempo. Rimane lo stropicciarsi d’occhi nel vederlo rincorrere Timothy Weah a centrocampo, spiccioli di recupero per la causa, a loro modo inediti. Ancora una volta, là dove le circostanze non importano e conta ciò che sta scritto, a Luis manca un centesimo per avere un euro: ma la prestazione del tramonto dice che non è il caso di accantonarlo più.
Crocicchi è la rubrica di Enrico Veronese che ci terrà compagnia in questi mesi di Serie A. Sarà il racconto, giornata dopo giornata, degli incastri imperfetti che il calcio sa mettere in un campo di gioco, di tutto ciò che sarebbe potuto essere, ma non è stato. Che poi, in fondo, è il bello del calcio.