Il Foglio sportivo
Juventus-Torino, un derby segnato dai complessi
I bianconeri con Bergamo in testa, il Toro con le troppe sconfitte. Cosa aspettarsi dalla sfida tra le due torinesi
Alessandro Buongiorno, fiero simbolo del Torino, degno alfiere di un concetto astratto e allo stesso tempo estremamente tangibile come il “vecchio cuore granata”, è nato nel 1999. L’informazione, di per sé praticamente priva di interesse, assume però altra sostanza se pensiamo al fatto che Buongiorno, come i suoi coetanei, ha visto il Toro vincere un solo derby, peraltro abbastanza trascurabile ai fini della classifica: Darmian e Quagliarella ribaltarono il vantaggio siglato da Pirlo in una stagione in cui la Juventus vinse lo scudetto in carrozza.
La stracittadina ha assunto i contorni dell’incubo per i granata da quasi trent’anni: i due successi nella prima metà del 1995, marchiati a fuoco da Ruggiero Rizzitelli, rappresentano l’ultimo vero momento di grandezza. Il derby di oggi, che Buongiorno guarderà soltanto come tifoso essendo fermo ai box (come mezza difesa granata), rischia però di diventare una partita segnata dai complessi: quello del Toro, che negli ultimi anni ha perso le sfide cittadine in talmente tanti modi da approcciarsi al derby come un condannato sul patibolo, soltanto in attesa dell’esecuzione, e quello della Juventus, scossa a tal punto dallo scivolone in casa del Sassuolo da aver rinnegato un inizio di stagione in cui sembrava di vedere una squadra finalmente diversa da quella rinunciataria e passiva degli ultimi due anni. Un profilo più garibaldino prontamente rimosso dopo le quattro sberle subite da Domenico Berardi e compagni. Contro Lecce e Atalanta si è tornati all’allegrismo più puro, quello del “primo non prenderle”: al cospetto della formazione di D’Aversa, complice anche la timidezza dei rivali, ha funzionato a meraviglia. Discorso diverso contro Koopmeiners e compagni, che hanno dominato per larghi tratti e costretto Szczesny, uno dei grandi colpevoli di Reggio Emilia, a una parata fuori da ogni logica per negare a Muriel la perla del vantaggio su punizione.
Pareggiare a Bergamo senza Vlahovic e Milik non è certo un delitto, farlo rinunciando totalmente alla possibilità di fare male nell’ultima mezz’ora è invece un messaggio difficile da digerire per una squadra che, rispetto alle concorrenti per le zone di vertice, avrà l’enorme vantaggio di poter tenere le gambe fresche vista l’assenza di coppe europee. Un plus che Allegri, nelle sue dichiarazioni prudenti e volte ad allontanare i suoi dal bersaglio tricolore, non sembra voler cogliere, almeno in pubblica piazza: obiettivo Champions League, nulla di più. Eppure il tecnico tira dritto e promuove la prestazione di Bergamo, ignorando i passi indietro rispetto, per esempio, alla sfida vinta brillantemente contro la Lazio, impostata su un avvio di gara all’insegna dell’aggressione alta sul possesso palla biancoceleste.
Chissà quali pensieri, invece, affolleranno la testa dei giocatori del Torino, usciti dallo stadio in mezzo ai fischi dopo uno 0-0 con il Verona di bruttezza a tratti straziante. Una squadra (e una società) da anni a metà del guado, alla ricerca di un salto di qualità che non arriva e non sembra poter arrivare a breve. Il derby può riaccendere l’entusiasmo di entrambe le squadre: soltanto chi riuscirà a scendere meglio a patti con i propri complessi avrà la chance di spuntarla.