verso Euro 2024
Wembley è lo stadio di cui Domenico Berardi ha bisogno
Rispetto alla finale degli Europei, l'attaccante del Sassuolo è diventato uno dei punti fermi dell'attacco della Nazionale. La partita contro l'Inghilterra è la grande chance di cui ha bisogno
Per alcuni è una delle ultime bandiere del calcio italiano, per altri è ostaggio di una realtà che sembra andargli stretta. Domani sera, a Wembley, Domenico Berardi avrà il compito di provare a consolidare ulteriormente il suo status di giocatore che ambisce, numeri alla mano, a una squadra di Champions League. Non è la prima volta nel tempio del calcio inglese: Roberto Mancini lo mise in campo al 55’ della finale dell’Europeo richiamando Ciro Immobile e il suo ingresso coincise con il miglior momento degli azzurri, dal pareggio di Bonucci a una chance sparata alta proprio da Mimmo sull’uscita disperata di Pickford. Berardi segnò anche il primo rigore della serie trionfale: un passaggio che in molti sembrano aver dimenticato. Ma se all’epoca Berardi era solo una parte secondaria dell’ingranaggio azzurro, stavolta si presenta a Wembley sapendo di avere sulle spalle una bella fetta dell’attacco della Nazionale: la doppietta con Malta ha confermato il suo strabiliante momento di forma, già ampiamente ammirato contro Juventus e Inter nei due exploit del Sassuolo di questo avvio di stagione, ma con l’Inghilterra, ovviamente, sarà un’altra cosa.
È un’occasione da non perdere, anche per mettersi in mostra: se in Italia il suo valore è perfettamente noto, il grande calcio europeo guarda a Berardi, classe 1994 e dunque non più acquisto futuribile, con una lieve dose di scetticismo. È la sorte di chi ha avuto poche chance per mettersi alla prova fuori dai confini italiani, la stessa che, forse, è costata grandi piazze continentali a Milinkovic-Savic, non a caso rifugiatosi in Arabia Saudita nel corso dell’estate.
Un’estate che, per Berardi, pareva promessa di svolta: prima l’interesse della Lazio, quindi l’accordo praticamente raggiunto con la Juventus. Un affare frenato dal Sassuolo, preso alla sprovvista dalla tempistica dell’intesa e per questo motivo fermo nel rifiuto al colosso bianconero. Poteva essere il momento di rottura nel rapporto tra il club neroverde e l’attaccante, ma Berardi ha fatto spallucce: è tornato in campo e ha ripreso a fare quello che gli riesce meglio, gol e assist partendo da destra per privilegiare il prediletto piede mancino, suscitando paragoni talvolta anche smisurati con Robben. Un anno fa, più o meno di questi tempi, da Alessio Dionisi era arrivato un altro confronto pesante da sostenere, non tecnico ma in termini di peso specifico sull’economia della squadra: “Berardi è un giocatore che sposta tantissimo, ci è mancato molto, è stato un po’ come se Mbappé mancasse a lungo alla Francia: per certi aspetti, nel decennio di A del Sassuolo, Mimmo ha determinato anche più di quanto non faccia Mbappé nella sua Nazionale”. Parole forti ma non fuori fuoco: ha visto andare via compagni di reparto e di squadra, tutti destinati a piazze altisonanti, ma Berardi è sempre rimasto lì, al Sassuolo. Ha cambiato numero, si è messo sulle spalle la 10 che spetta ai giocatori di maggior peso tecnico, è stato la stella polare di una squadra chiamata a reinventarsi stagione dopo stagione. C’era già nella prima avventura in A dei neroverdi, quella dell’esonero e conseguente ritorno di Di Francesco dopo l’interregno di Malesani, di una salvezza inseguita e raggiunta con le unghie. Quella del poker proprio di Berardi al Milan, primo manifesto di grandezza: i partner d’attacco erano i vari Zaza e Floro Flores, Floccari e Nicola Sansone.
In mezzo, una vita in neroverde, nell’attesa di un cambio di scenario che ancora non si è concretizzato nonostante le mille voci e trattative. Adesso, a due anni e qualche mese da quella notte di luglio, torna a Wembley, non più da comprimario ma da potenziale protagonista. In un’Italia che cerca certezze nel marasma emotivo generato dalla bufera scommesse, aggrappata al suo talento e a quello di Jack Bonaventura, Berardi può trovare un posto al sole che sembrava fuori portata.