calcio e scommesse
Il nuovo "calcioscommesse" è una nuova ondata di purificazione del calcio nazionale
La ludopatia non è reato e l’inchiesta della procura di Torino non è il Totonero. Anche i quattro finiranno innocenti, saranno marchiati a fuoco, e il sistema calcio avrà preso un’altra botta sotto il parastinchi della credibilità
La ludopatia applicata alle vite sventate di giovani galletti dalle uova d’oro rischia, e molto, di trasformarsi nell’ennesimo disastro di un paese affetto da giustiziopatia. Se la ludopatia fosse ritenuta, come in effetti è, una grave questione sociale, sanitaria, economica e anche legale, lo stato avrebbe da tempo chiuso le sale da gioco e soprattutto dismesso i panni francamente discutibili dello stato-biscazziere. In Italia oltre un milione di persone giocano patologicamente d’azzardo, spesso giovanissimi o anziani che buttano risparmi e pensione, meno di centomila accedono a percorsi riabilitativi. Ma adesso che ci sono nomi famosi da buttare in pasto alla stampa (per ora quattro, ma il fratello di Linda Lovelace ne promette altri stasera, dopo la partita della Nazionale), ecco che la ludopatia diviene caso nazionale e per il presidente della Figc Gravina “piaga sociale”. Lo scandalo, si dice, dimostrerebbe l’immoralità del calcio (cioè dei soldi), e lo sprofondo del nostro stesso sistema.
La lunga premessa basterebbe a sentenziare che è una boiata pazzesca. Al momento il povero Nicolò Fagioli ha ammesso la ludopatia, e sembra che abbia scommesso sul calcio: ma non ci sono evidenze. Sandro Tonali prima ha smentito, ora dice che si autodenuncerà e si curerà, obiettivo contenere le possibili sanzioni. Zaniolo, Nicolò pure lui, dice di aver giocato solo a Blackjack, che non è reato federale, e Zalewski (Nicola) minaccia querele. L’articolo 24 del codice di giustizia sportiva della Figc vieta ai professionisti (e pure ai dilettanti) di scommettere sul proprio sport (sul curling, liberi tutti). Pene pesanti, “squalifica non inferiore a tre anni”. Roba da rovinare una carriera. Sul fatto invece di utilizzare piattaforme non registrate (“illegali”, ma non per forza criminali), questo è vietato a chiunque. L’inchiesta della procura di Torino forse coinvolgerà altri, ma al momento non è il Totonero. In ogni caso, si può dubitare che servisse spedire i Carabinieri a Coverciano. Ma ovviamente la gita si è trasformata per il calciofilo medio, e per il giornalista collettivo, in una specie di invasione di Gaza. Così che se anche i quattro finiranno innocenti, saranno marchiati a fuoco, e il sistema calcio avrà preso un’altra botta sotto il parastinchi della credibilità (e della credulità popolare). I più attempati ricordano le gazzelle della Polizia sulla pista dell’Olimpico il 23 marzo 1980 per arrestare i giocatori del Totonero senza nemmeno farli andare caressianamente sotto la doccia. Fu una porcata da golpe sudamericano, grossolana e inutile. Qualche coinvolgimento fu provato, ma ci ricordiamo anche dell’inferno vissuto da Pablito Rossi, cui molti devono ancora delle scuse. Il Calcioscommesse, che travolse Beppe Signori: secondo l’accusa in combutta con criminali “di Singapore”. Squalificato cinque anni, ce ne sono voluti dieci perché venisse assolto perché il fatto non sussiste.
Probabilmente, inevitabilmente, qualcosa sussisterà pure di questa nuova ondata di purificazione del calcio nazionale. Se ragazzi milionari e sventati scommettono illegalmente sul loro sport, vanno sanzionati. Ma l’art. 24 è scritto per esorcizzare il malaffare, le infiltrazioni e le partite truccate: tre anni di squalifica per una scemenza, se non emergerà altro, paiono una punizione “esemplare”, cioè scema. Possiamo già mettere agli atti che la ludopatia non è reato, e come ha ben detto Ibra al Festival dello sport di Trento, fottendosene del buon esempio, al casinò coi propri soldi ognuno fa quel che vuole. In ogni caso difficilmente si intravedono contorni criminali che giustifichino tanto allarme. O almeno, ci vogliamo scommettere.