Ligue 1
L'inaspettato Brest di Eric Roy
La storia dell'allenatore del club bretone è un continuo via vai dalla scrivania alla panchina. Ora in Bretagna sembra aver trovato il suo compimento
La parte più interessante del suo curriculum è uno spazio lasciato in bianco. Perché l’allenatore che in queste settimane si è divertito a riscrivere le gerarchie della Ligue 1, in realtà, aveva smesso di fare l’allenatore. Per ben 11 anni. La storia di Eric Roy è racchiusa tutta in questo paradosso, incastrata fra un addio che sembrava definitivo e un ritorno che potrebbe sempre essere momentaneo. È anche per questo che il tecnico ha imparato a concentrarsi sul presente. Dopo 9 giornate di campionato il suo Brest ha raccolto 15 punti. E si è arrampicato fino al quinto posto in classifica. È un tentativo disperato da parte della periferia di farsi centro. O quanto meno di ridurre le distanze.
Uno sforzo fotografato piuttosto bene da un dettaglio: la rosa del Paris Saint-Germain vale più di un miliardo di euro. Quella dei bretoni non arriva neanche a 80 milioni. Meno del Lecce. Meno addirittura dell’Empoli. Lo stadio locale, il Francis Le Blé, conta circa 15mila seggiolini. Non tutte le tribune sono coperte. I parcheggi riservati vengono ricavati la domenica nel cortile di una scuola poco distante. È una di quelle storie che la narrazione sportiva non vede l’ora di chiamare favole. Ma che in realtà è il frutto di qualcosa di molto meno estemporaneo.
Perché la storia di Roy parte da molto lontano. Ed è molto legata al concetto di territorialità.
Eric nasce a Nizza. Cresce nel vivaio del Nizza. Debutta in prima squadra con il Nizza. Chiude la sua carriera da giocatore al Nizza. In mezzo c’è un lungo peregrinare per il Vecchio Continente. Il ragazzo è un buon centrocampista, le offerte non mancano. Così si trova a vagare fra Tolone, Lione, Marsiglia, Sunderland, Troyes e Rayo Vallecano. "L’unico mio rimpianto - dirà qualche anno più tardi - è non aver mai vestito la maglia della Francia". Quando decide di chiudere con il calcio giocato, però, il futuro è ancora un’incognita. Il suo legame con il club della Costa Azzurra è troppo forte per essere reciso. Nel settembre del 2005 diventa direttore del marketing del Nizza. Poi assume il ruolo di direttore dello sviluppo e delle pubbliche relazioni. Dopo ancora diviene direttore sportivo. Nel marzo del 2010 succede qualcosa di imprevisto. Il club rischia di retrocedere e ha bisogno di un allenatore. Così i vertici pensano a lui. È una scelta difficile. Roy ci riflette sopra. È scettico. Ma sa anche di dover dare una mano. Alla fine accetta. Sarà allenatore e direttore sportivo insieme.
La scelta paga. Il Nizza chiude al diciassettesimo posto. È salvo. E arriva anche in semifinale della coppa nazionale. L’anno successivo, però, il miracolo non si ripete. A novembre del 2011 viene esonerato. Così decide di partire per un viaggio in Argentina. Dodici giorni alla ricerca di pace, di relax. Quando torna il club lo licenzia in tronco. Nessun dirigente aveva avallato quella vacanza. È qui che la storia diventa una commedia degli equivoci. Il Nizza gli fa presente che lui è ancora formalmente il direttore sportivo del club. Lui risponde che l’assunzione di Claude Puel come allenatore con "ampi poteri" lasciava presupporre il suo allontanamento anche dal ruolo di ds. È una situazione grottesca. Sembra l’adattamento calcistico della frase di Flaiano secondo cui «In amore gli scritti volano e le parole restano». Non si sa più a cosa credere, a quale accordo fare fede. A risolvere la questione è il tribunale. Quel licenziamento è ingiusto. Roy deve essere risarcito con 689 mila euro.
Da lì inizia una vita tutta nuova.
Eric diventa direttore sportivo del Lens, poi si trasferisce al Watford. Non è più un allenatore. Ora è un dirigente. Almeno fino allo scorso anno. Il Brest se la passa male. È diciassettesimo, con appena due punti in più dell’Ajaccio, terzultimo. È un film già visto. Qualcuno però si ricorda di Eric. E lui risponde nuovamente presente.
Il suo lavoro è straordinario. Il suo calcio ispirato ai dettami di Tigana (che lo ha allenato ai tempi del Lione) è basico, pratico. Ma è anche fruttuoso. Il Brest chiude quattordicesimo. Roy è confermato. L’obiettivo resta lo stesso: salvarsi. Possibilmente evitando un anno di paure strazianti. Il nuovo incipit però è addirittura straordinario. Il Brest batte il Lens, batte il Le Havre, batte il Reims, Batte il Lione. In mezzo pareggia con il Marsiglia e pareggia con il Rennes. Dopo sei giornate è addirittura primo in classifica. Poi i pareggi con Nizza e Tolosa e la sconfitta contro il Lille lo hanno fatto scendere di nuovo. "Il nostro risultato è inaspettato, ma non inspiegabile" dice Roy. Eppure in estate il Brest ha speso 3 milioni per Mahdi Camara e 500mila euro per Locko. Il resto sono prestiti, come Satriano, arrivato dall’Inter. In queste settimane l’allenatore ha insistito molto sul concetto di "qualità intangibili". Dice che la sua squadra ha un "grande cuore" e "un forte carattere". Ma punta molto anche su quello che definisce "Management partecipativo". "I giocatori passano più tempo fra di loro che con le loro mogli e figli - ha detto a Ouest France - come possiamo vivere bene insieme prima di giocare bene insieme? Quali sono i valori che il gruppo vuole difendere? È qui che entra in gioco la gestione partecipativa. Abbiamo chiesto ai giocatori di mettere delle regole. Sono emersi cinque valori: rispetto, solidarietà, lavoro duro, umiltà e ambizione".
In verità la tattica conta eccome. Il Brest gioca un calcio verticale, tiene palla ma non disdegna il lancio dalla retroguardia. Fondamentali in fase di creazione sono Romain Del Castillo (3 reti e due assist), esterno che destro che è il secondo giocatore in tutta la Ligue 1 per numero di occasioni create (3.4 a partita), mentre il terzino sinistro Locko riesce a creare sistematicamente superiorità numerica grazie ai sue dribbling (2.4 a partita, Mbappé è fermo a 2.1). La sfida è non precipitare fino alla fine del campionato. Ma comunque vada quella del Brest resta una realtà, non una favola.
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