I tifosi della Green Brigade del Celtic (Ansa)

calcio e politica

I tifosi del Celtic, la questione palestinese e le contraddizioni di Fifa e Uefa

Ruggiero Montenegro

Le manifestazioni dei supporters scozzesi che espongono le bandiere della Palestina e le prese di posizione a supporto di Gaza di diversi calciatori, da Benzema a Salah, mettono in luce i cortocircuiti e le debolezze delle federazioni internazionali del pallone

Il 7 ottobre, il giorno dell'attacco terroristico di Hamas a Israele, la Green Brigade aveva già chiarito da che parte si trovasse. “Free Palestine”, resistenza fino alla vittoria, era lo striscione che campeggiava in quello spicchio del Celtic Park, durante la sfida contro il Kilmarnock. Green Brigade è il nome del gruppo di tifosi del Celtic formatosi nel 2006 che supporta la causa palestinese. Avevano fatto qualcosa di simile anche domenica scorsa durante il match con l'Hearts. Non è di per sé una gran notizia, insomma, che anche ieri - sfruttando la prima uscita europea dall'inizio del conflitto e quindi un palcoscenico internazionale - i tifosi della squadra biancoverde abbiamo messo in piedi una coreografia con la bandiera della Palestina, disponendosi sui gradoni con casacche colorate, contravvenendo ai dettami dell'Uefa che vorrebbe la politica lontana dai campi e dagli spalti. Anche in Spagna, tra Osasuna e Granada, c'era stato un episodio analogo. 

Manifestazioni partite dal “basso”, per così dire, che si inseriscono in quadro più ampio. Quello che ha visto in queste settimane alcuni calciatori prendere posizione, con sfumature diverse, fino a rivelare un mondo del calcio frammentato e contradditorio, a vari livelli, rispetto al conflitto tra Israele e Palestina.

Contraddizioni che inevitabilemente riguardano anche la Fifa e l'Uefa. 

Il caso più noto tra i calciatori è probabilmente quello del franco-algerino Karim Benzema, diventato in Francia praticamente una questione nazionale, con tanto di richiesta (un po' avventata per la verità) di ritirare la cittadinanza. L'ex calciatore del Real Madrid, oggi in Arabia Saudita, aveva twittato in favore degli abitanti della striscia di Gaza, definendo “ingiusti i bombardamenti che non risparmiano le vite di donne e bambini”. Un post che gli è valso l'accusa, da parte del ministro dell'Interno francese Gérald Darmanin, di avere “noti legami” con i Fratelli Musulmani – organizzazione che l'Eliseo considera terroristica. Benzema, non ne ha mai fatto mistero, rivendica con orgoglio il suo credo musulmano. 

Non è stato l'unico. Anche un altro campione di primissimo piano come Mohammed Salah ha deciso di intervenire con un appello in cui chiedeva lo stop ai bombardamenti di Israele e aiuti umanitari per Gaza. “E' insopportabile assistere all’escalation delle ultime settimane”, il messaggio dell'egiziano che, come il collega Benzema, non citava Hamas, scatenando proteste e critiche. C'è poi il caso di Anwar El Ghazi, olandese di origini marocchine, sospeso dal Mainz per aver parlato di “genocidio” causato da Israele. Così come Youcef Atal a Nizza, indagato per apologia di terrorismo e intanto squalificato questa mattina dalla federcalcio francese per sette gornate. 

Prese di posizione che hanno reso (ancora) più evidenti le incertezze delle federazioni, in particolare quella europea e mondiale che, per esempio, sul conflitto tra Ucraina e Russia avevano mostrato ben altra risolutezza, decidendo di schierarsi più apertamente. Con Israele non è accaduto, la questione è apparsa sin da subito troppo spinosa.

Per avere un'idea di come gira questa volta, se a marzo 2022 era facile imbattersi nell'Allianz stadium di Monaco o nel Wanda metropolitano di Madrid in tinta gialloblu ucraina, nei giorni scorsi è stato vietata la bandiera di Israele a Wembley.

Oggi si fa fatica a capire quale sia la posizione di Uefa e Fifa. E per certi versi è anche un bene, se non altro perché da sempre le federazioni ripetono di volersi tenere alla larga dalla politica, salvo poi combattere alcune cause, dimenticandosi di altre. La dinamica di questi giorni rientra nello schema. D'altra parte il mondo arabo è sempre più pervasivo nel calcio, dalle proprietà di club europei all'importazione di grandi campioni. Dopo l'Arabia Saudita, presto potrebbe essere il Qatar - dove hanno trovato asilo i leader di Hamas - a ospitare un altro mondiale mediorientale e, per restare più vicini a casa nostra, l'Italia organizzerà l'Europeo del 2032 con la Turchia. Il presidente Erdogan si è schierato proprio ieri dalla parte dell'organizzazione terroristica palestinese, la nostra premier Meloni invece ribadisce quotidianamente il sostegno a Israele. Cortocircuiti. Ma forse le contraddizioni delle federazioni di questi giorni, almeno in parte, si possono spiegare anche così. 

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