Nuova Zelanda-Sudafrica, la finale delle finali della Coppa del mondo di rugby
Allo Stade de France di Saint-Denis si incontreranno All Blacks e Springboks, la partita fra due scuole di pensiero e azione, tra due nazionali che non si amano, ma si rispettano
È la partita delle partite. È la regina delle partite. È la partita più tradizionale e storica perché è la rivalità più sentita e accesa. È la partita che tutti vorrebbero vedere e solo pochissimi giocare. È la partita che chiude la Coppa del mondo di rugby 2023 e per quattro anni celebra una conquista, una supremazia, un dominio. Nuova Zelanda-Sudafrica. All Blacks-Springboks. Stasera, alle 21, allo Stade de France di Saint-Denis, Parigi.
È la partita fra due scuole di pensiero e azione. Libertà, fantasia, immaginazione, spazi: gli All Blacks. Ignoranza (nel rugby è una caratteristica positiva, un valore tra fisicità e determinazione), forza, potenza, compattezza: gli Springboks. Aria, vento, cioè respirare, decollare, volare: gli All Blacks. Claustrofobia, apnea, cioè soffocare, spingere, macinare: gli Springboks. Cavalleria: gli All Blacks. Fanteria: gli Springboks. Jazz: gli All Blacks. Canti di lavoro: gli Springboks. Teatro, danza, circo: gli All Blacks. Esercito, reggimento, brigata: gli Springboks. Artigianato e arte: gli All Blacks. Officina e laboratorio: gli Springboks. Bellezza, spettacolo: gli All Blacks. Utilitarismo, opportunismo: Springboks.
All Blacks e Springboks si sono affrontati 105 volte: la prima il 13 agosto 1921 a Carisbrook, in Nuova Zelanda, con la vittoria degli All Blacks 13-5, l’ultima lo scorso 25 agosto a Twickenham, Londra, con la vittoria degli Springboks 35-7, in tutto 62 vittorie degli All Blacks, 39 degli Springboks e 4 pareggi. Nelle 12 serie (a 2, 3 o 4 partite disputate in uno solo dei due Paesi), 5 vittorie degli All Blacks, 5 vittorie degli Springboks e 2 pareggi. In Coppa del mondo, All Blacks e Springboks (3 successi ciascuno) si sono già affrontati 5 volte: 3 vittorie degli All Blacks (nei quarti di finale del 2003, nella semifinale del 2015 e nel girone eliminatorio del 2019) e 2 degli Springboks (nella finale primo e secondo posto del 1995 e[MP1] nella finale terzo e quarto del 1999).
È soprattutto il match del 1995, quello raccontato nel film “Invictus” (con Morgan Freeman nel ruolo di Nelson Mandela, che segna la fine – la fine? – dell’apartheid e l’inizio del professionismo), a destare ancora amarezze e recriminazioni. Con il presunto avvelenamento degli All Blacks con una portata di pesce guasto servito da una certa cameriera Susy. E con il drammatico epilogo nei tempi supplementari grazie a un drop, un calcio di rimbalzo, il gesto più tecnico e meno fisico, l’azione più astuta e meno prepotente, l’intuizione più geniale ma anche più premeditata che si possa immaginare su un campo da rugby. A proposito di quella partita: poco prima dell’inizio, il capitano degli All Blacks, Sean Fitzpatrick, ricevette un fax anonimo: “Ricordati, il rugby è un gioco di squadra. Assicurati che tutti passino a Jonah”. Jonah Lomu, 1,96 (l’altezza di un seconda linea o di un terza centro) per 119 chili (il peso di un pilone), ma capace di correre i 100 metri sotto gli 11”, schierato all’ala.
Neozelandesi e sudafricani non si amano. All Blacks e Springboks ancora meno. Ma si rispettano. Dovranno rispettare anche il regolamento. La disciplina sarà decisiva. “Fuoco in pancia e ghiaccio in testa”, il mantra degli All Blacks. A occhio, gli Springboks imposteranno il match sugli avanti, punteranno sulle mischie chiuse, cioè quelle ordinate, fondamentale nel rovesciare il punteggio contro l’Inghilterra in semifinale. A occhio, gli All Blacks cercheranno di resistere con la mischia per aprire sui trequarti. Poi, per nostra massima fortuna, ci sarà molto di imprevedibile. Chi sa ancora poco di ruck e maul, storte e furbe, calci-passaggio e calci in cielo, si accontenti dell’antica definizione di P.G.Wodehouse, scrittore inglese con “sense of humour”: “Lo schema principale è far muovere la palla sul campo e depositarla oltre la linea all’altra estremità, e per mandare all’aria questo programma a ogni squadra è permesso di usare una certa quantità di violenza e aggressività e di fare cose ai propri simili che, inserite in altri contesti, procurerebbero 14 giorni senza condizionale, abbinati a qualche duro commento dalla panchina”.
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