Matías Soulé con la maglia del Frosinone (foto LaPresse)  

Olive #10

Il posto giusto di Matias Soulé

Giovanni Battistuzzi

A Frosinone l'ala argentina sta trovando spazio e modo per giocare come sa e come vuole. Lo strano effetto che fa vederlo in campo

“Il pallone deve sempre essere attaccato al piede”. Se l'è sentita ripetere chissà quante volte praticamente chiunque nelle scuole calcio questa frase. Ogni allenatore la dice, la ripete in modo quasi ossessivo. Attaccata al piede, sempre. Fosse facile tenerlo sempre lì il pallone, a pochi centimetri dal piede. C'è mai riuscito nessuno, a eccezione di quelli forti. Che si sa che la palla è tonda e rotola un po' dove vuole lei. Va per tutti così, a meno di non saperci fare. E anche per chi ci sa fare, a volte, non è affatto semplice. Soprattutto quando si corre. Per Matías Soulé invece sembra naturale. Lui guarda lontano, ci fa mai davvero attenzione al pallone. Guarda avanti a sé, dietro a sé, a lato, osserva i compagni, cosa fanno e cosa non fanno, probabilmente sa pure a cosa pensano, ma non c'è data averne certezza. Intanto il pallone è lì, accanto al suo piede sinistro, come fosse fatto scontato, la cosa più naturale al mondo.

E mica è uno che passeggia per il campo, Matías Soulé. Questo semplificherebbe tutto. No. Lui per il campo corre, parecchio. Scatta sulla fascia, si addentra verso il centro del campo e dell'area. E anche quando accelera il passo ecco che il pallone non si allontana mai dal suo piede sinistro. Proprio come dicono tutti gli allenatori nelle scuole calcio: “Il pallone deve sempre essere attaccato al piede”.

Ce la fanno solo i calciatori forti a fare questo. Senz'atro Matías Soulé è forte. Quanto lo dirà il tempo. A vent'anni non si è ragazzini, ma non si ha ancora l'esperienza giusta per essere davvero uomini di calcio. Per esserlo, diceva Carlo Mazzone, serve qualche stagione giocata con continuità e un po' di sana furbizia. Per il resto, uno a vent'anni, aggiungeva il sor Carletto, è giù più che pronto per fare il titolare, anche nelle grandi squadre.

Matías Soulé in una grande squadra c'era fino a pochi mesi fa. La Juventus però ha preferito mandarlo in provincia, a giocare con continuità in una squadre che poteva farlo crescere. E per crescere serve giocare, trovare il posto giusto, l'allenatore giusto, quello che ha bisogno di un giocatore con certe caratteristiche. Quel posto, almeno per Matías Soulé era Frosinone, perché in Ciociaria c'era il tecnico giusto per dare minuti a un calciatore come l'argentino: Eusebio Di Francesco. A volte il problema con i giovani non sono i prestiti, ma i prestiti sbagliati, la pigrizia dei dirigenti che, con la scusa di voler dare minuti a un calciatore, li mandano di qua e di là senza un piano, senza aver approfondito dove un giovane può dare il suo meglio. Cristiano Giuntoli è invece un dirigente assennato, un professionista che difficilmente si lascia andare alla pigrizia.

E così Matías Soulé s'è ritrovato in Ciociaria a giocare dove preferisce, dove rende meglio, ossia all'ala destra, alle dipendenze di un allenatore che cercava proprio un giocatore del genere, uno che all'ala destra potesse superare l'uomo, creare la superiorità numerica, saper sfruttare la libertà della fascia. A Frosinone è arrivato a fine agosto, otto partite fa. E in queste otto occasioni è stato sempre schierato titolare. Diverse le ha giocate molto bene, qualche passaggio a vuoto c'è stato, ma so' ragazzi, ci vuole un po' di pazienza.

Matías Soulé lì all'ala destra dello schieramento del Frosinone, scatta e porta il pallone, si accentra e serve i compagni, si libera per segnare, soprattutto riesce a fare ciò che gli riesce meglio, accarezza il pallone che gli sta sempre vicinissimo al piede sinistro, e dribbla gli avversari. C'è qualcosa di magnetico nel suo modo di muoversi, di controllare la palla, di calciarla o passarla. Qualcosa che sa di antico e modernissimo. Qualcosa che non ha a che fare con il talento assoluto, ci sono calciatori con più classe in circolazione, ma che rende estremamente attraente il modo di muoversi e giocare dell'argentino. Sono movenze, quelle di Matías Soulé, che richiamano alla memoria quelle di un passato calcistico molto più lento, ma riproposte con il controllore della velocità a x1,5. Movenze che arrivano a volte al termine di rincorse agli avversari, palloni recuperati, contrasti da mediano, ben distanti da quello che ci potremmo aspettare da un giocatore che tiene sempre il pallone attaccato al piede.

Matías Soulé ha un anno, il primo, per iniziare a essere davvero un uomo di calcio. La speranza è che sia solo il primo di una lunga serie.

   


     

Anche quest'anno c'è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all'aperitivo. La prima giornata è stato il momento di Jens Cajuste (Napoli). Il secondo appuntamento è stato dedicato a Luis Alberto (Lazio); nella terza giornata vi ha tenuto compagnia Ruggiero Montenegro con Federico Chiesa (Juventus); nella quarta è stato il turno di Andrea Colpani (Monza); nella quinta di Romelu Lukaku (Roma); nella sesta è sceso in campo Yacine Adli (Milan); la settima puntata è stato il momento di Albert Gudmundsson (Genoa); nell'ottava di Giacomo Bonaventura (Fiorentina); la nona ha visto scendere in campo Zito Luvumbu (Cagliari). Trovate tutti gli articoli qui.