Il Foglio sportivo
All'Olimpia Milano c'è un problema: Ettore Messina
Tre sconfitte di fila in casa, quattro in una settimana (otto sconfitte su dodici partite fin qui giocate), sono un piccolo record per una squadra costruita per raggiungere le Final four di Eurolega. Eppure il presidente-coach può ancora dare una svolta alla squadra
Ettore Messina è un uomo fortunato. Il presidente di qualsiasi squadra con uno dei primi budget di Eurolega dopo quattro ko in cinque partite, lo avrebbe messo sulla graticola. Qualcuno lo avrebbe addirittura cacciato. Ma il presidente di Messina è Messina stesso… Difficile si licenzi da solo. Tre sconfitte di fila in casa, quattro in una settimana (otto sconfitte su dodici partite fin qui giocate), sono un piccolo record per una squadra costruita per raggiungere le Final four di Eurolega grazie alla generosità di Giorgio Armani che ha consentito di portare a Milano un fuoriclasse come Nikola Mirotic.
Per innescare Mirotic, ma anche Shields o Melli, però ci sarebbe bisogno di un gioco, di idee che sembrano sparite improvvisamente dalla lavagnetta di uno dei migliori allenatori italiani. Arrivare sempre a tirare al limite dei 24” non è un buon segno. Per qualcuno le colpe sono tutte di Pangos, un playmaker con i suoi limiti d’accordo, ma un play a cui qualcuno ha affidato le chiavi dell’auto che è una fuoriserie, non una city car. Messina l’altra sera è arrivato a lasciarlo in tribuna, indicandolo alla pubblica piazza come l’origine del male. Contro il Monaco di Mike James, il primo epurato da Messina quando sbarcò a Milano, però l’Olimpia ha perso ancora. Avrà anche avuto l’atteggiamento giusto, come ha detto il coach, ma se segni 11 punti nel terzo quarto guiderai sempre a fari spenti come stava cantando Elodie a quell’ora nel palazzo accanto al Forum dove si cerca quell’X Factor che Milano non ha ancora trovato per vincere fuori dai confini nazionali.
Milano ha un problema, non c’è dubbio. Ma ha anche la struttura per reagire e arrivare in fondo a una competizione che non vince dalla fine degli anni Ottanta. In questo assomiglia alla Ferrari che a ogni stagione dice: vinceremo l’anno prossimo. Milano però deve fare in fretta perché l’uomo che tiene in piedi la baracca (e quasi tutto il basket italiano) non può pazientare in eterno. Per cui il Messina presidente guardi negli occhi il suo allenatore e capisca se ha ancora dentro il fuoco per riaccendere l’anima di giocatori che sembrano non aver più voglia di sputare sangue come chiedeva sempre Dan Peterson e come l’altra sera ha fatto, per esempio, Stefano Tonut o come quando non è in riserva fa regolarmente Nicolò Melli. Ma ritrovato il fuoco, ci vorrà nuova legna per farlo ardere e sul mercato di riparazione non si potrà più sbagliare a disegnare la squadra. Il tempo per risalire la corrente c’è. Messina sa che questa potrebbe essere la sua occasione finale e lui, l’ultima cosa che vorrebbe fare, è accomodarsi su quel treno dei fallimenti che ha già portato via Pianigiani, Scariolo e Repesa. Tutti super tecnici che avrebbero potuto (e dovuto) regalare a Milano l’Europa e invece hanno chiuso male l’avventura. E Messina sa che non arrivare ai playoff di Eurolega (se non alle Final four) sarebbe un fallimento.
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