mettersi in serie.
L'arte della bilia
Potrà lo snooker, raffinata forma di biliardo, diventare un ponte fra oriente e occidente? Il gioco “confuciano” e i campioni inglesi
L’invenzione dello snooker, intorno al terzo quarto del XIX secolo, si fa risalire all’inventiva di un colonnello dal nome che nella sua prosopopea più inglese non si potrebbe: Francis Fitzgerald Neville Chamberlain, di stanza in India. La noia di certe giornate nella più illustre delle colonie inglesi deve avergli aguzzato l’ingegno. Una dozzina di anni dopo il gioco sbarca in Inghilterra, per mano di quegli stessi ufficiali che lo giocarono per primi. Qui si impianta e con il nuovo secolo si dirama in tutto il Regno Unito: Galles, Scozia, Irlanda, con puntate fino all’Australia del Commonwealth. Gioco occidentale al cento per cento, dunque? Sì, ma nient’affatto rinserrato nell’occidente. Perché da quando negli anni 60 del secolo scorso il gioco comincia a perdere l’aplomb da gentleman, la lieve patina snobistica che lo avvolge, eccolo spiccare il grande salto, non già nei fiochi rivoli europei tra Belgio e Germania ma, a partire dall’ultimo decennio del Novecento e segnatamente con il Duemila, nientemeno che in Cina e in Thailandia. Misteri dei ministeri, per usare il titolo di un romanzo di Augusto Frassineti che fu finalista al premio Strega del 1959, quello che assegnò la vittoria nientemeno che al Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Un gioco da biliardo inglesissimo di scaturigine – se proprio vogliamo, simil colonialista – che trasmigra nel punto concettualmente più distante del globo, vale a dire nella Cina che si autocelebra come comunista? Non è forse un mistero, questo? Chissà. Vediamo meglio, perché in qualche modo c’entra la filosofia.
Inventato in India al tempo della dominazione britannica, lo snooker ha poi perso la patina snobistica e oggi è diffuso in Cina e Thailandia
Per capirlo, certo, è obbligatorio prendere dimestichezza con il gioco vedendolo giocare. Lo si può fare su Eurosport, che segue tutti i tornei full ranking, ovvero quei tornei che assegnano un punteggio per la classifica stagionale dei giocatori professionisti di snooker. Peraltro le telecronache di Maurizio Cavalli, la voce televisiva storica dello snooker in Italia, sono capaci di fare apprezzare anche le sottigliezze più estetiche, non soltanto quelle ludiche e tecniche, del gioco. E se, come si dice, si raggiunge anche il mezzo milione di spettatori televisivi, beh, quel signore c’entra senz’altro.
In questa sede niente di più ci è concesso che metter giù le regole fondanti di un gioco che si gioca su un biliardo spropositatamente lungo di 3,56 per 1,78 metri, il più lungo che ci sia, con 22 bilie di cui 15 rosse, 6 colorate, una bianca ch’è il pallino col quale si colpiscono le altre al fine di spingerle in una delle sei buche – quattro sugli angoli, due laterali. Le bilie colorate valgono da due (la bilia gialla) a sette punti (quella nera), quelle rosse valgono un punto. Le 15 bilie rosse sono in partenza racchiuse in un triangolo col vertice in basso, mentre quelle colorate hanno un loro posto preciso (spot). Il giocatore che muove deve colpire il triangolo in cui sono dispose le 15 rosse, nel modo migliore per non lasciar gioco all’avversario. Si può colpire una bilia colorata solo dopo avere imbucato una bilia rossa, ma mentre le bilie rosse imbucate escono dal gioco quelle colorate, se imbucate, vengono risistemate dall’arbitro sui propri spot. Questo fino a quando non ci saranno più rosse sul tavolo e allora si potrà dare la caccia alle bilie colorate che, finite le rosse, non rientrano in gioco una volta imbucate.
Una concezione armonica che tiene conto del tutto: colpo d’attacco per imbucare o colpo di difesa per mettere in difficoltà l’avversario?
Ed eccoci alla filosofia del gioco, che consiste nel cercare di mettersi in serie. Un giocatore può prendere in mano il gioco, imbucando una rossa, e non lasciarlo più fino alla fine della partita (frame), giacché esso è nelle sue mani fintanto che riesce a imbucare. Per continuare a imbucare occorre infilare una dietro l’altra, in serie, appunto, più mani possibile di rossa-colore: una bilia rossa che, imbucata, apre alla possibilità di imbucare una bilia di colore che a sua volta, se imbucata, apre alla possibilità di imbucare una nuova bilia rossa che, se imbucata, apre alla possibilità di imbucare ancora una bilia di colore e così via fino a quando non rimarrà più nessuna delle 15 bilie rosse e si potrà passare alla cosiddetta ripulitura del tavolo dalle altre bilie.
Per riuscirci bisogna avere il pieno controllo della bianca, il pallino con cui si colpisce. Bisogna cioè sapere non soltanto come colpire la bilia bianca in modi da imprimerle una direzione piuttosto che un’altra, da sospingerla in avanti a seguire piuttosto che indietro a retrocedere. Bisogna anche sapere di geometrie e di forze per prevedere con minime approssimazioni dove essa andrà a fermarsi quando, per portarla nella posizione più favorevole per imbucare una qualsivoglia bilia, occorre ch’essa colpisca più sponde, seguendo complicate circonvoluzioni. E non basta. Perché ogni singolo colpo, ogni volta che la bilia bianca colpisce un’altra bilia, deve essere soppesato secondo una concezione armonica che tenga conto del tutto: della configurazione che disegnano le bilie sul tavolo, della rete dei loro reciproci rapporti. E sempre alla luce del grande discrimine: colpo d’attacco per imbucare o, quando l’imbucata è impossibile o troppo difficile, colpo di difesa per mettere in difficoltà l’avversario? E perché non un colpo di “attacco-difesa” – quando il rischio di non imbucare è alto ma ci si può provare cercando però di non lasciar gioco all’avversario nell’eventualità di sbagliare il tiro? Decisioni come nodi da sciogliere. Nello snooker è normale vedere un giocatore andare su e giù lungo il biliardo per soppesare da ogni angolo il panorama delle bilie sul tavolo e valutare, nel ventaglio dei tiri possibili, quello che più si confà a quel panorama. Così la filosofia dello snooker è un intreccio di tecnica ed estetica, richiama per molti aspetti gli scacchi e richiede una grande capacità di pre-vedere il gioco così da fargli assumere le configurazioni più favorevoli per sé e più sfavorevoli all’avversario. Lo snooker è in questo senso il più meditativo dei giochi da biliardo e, scacchi esclusi, dello sport in generale. Si può azzardare che proprio una filosofia siffatta abbia certamente facilitato la penetrazione dello sport nell’oriente confuciano.
Un intreccio di tecnica ed estetica, lo snooker richiama per molti aspetti gli scacchi. E’ il più meditativo dei giochi da biliardo e dello sport in generale
Certo, letto alla luce di quanto sopra potrebbe sembrare un gioco di nicchia, riservato a pochi eletti cultori d’un biliardo estetizzante, riflessivo, poco godibile, per niente spettacolare.
Non è così. A cominciare dagli appassionati. Che sono milioni. Il “mercato” cinese è vastissimo e in grande espansione. In quel paese lo si insegna nelle scuole, lo si pratica largamente, gli spettatori televisivi dei tornei full ranking si contano a decine di milioni, quelli del campionato mondiale superano i cento, se non i duecento milioni. In tutto il Regno Unito, d’altro canto, lo snooker è forse il gioco più praticato dai maschi adulti (attenzione: c’è anche un campionato per le donne), i tornei non full ranking, semiprofessionistici e dilettanteschi non si contano, al professionismo arrivano di continuo forze fresche.
Certo, il gioco è improntato alla massima lealtà; alla capacità di perdere senza fare una piega, riconoscendo il valore del vincitore – assai frequentemente un giocatore sottolinea la bellezza di un tiro dell’avversario battendo lievemente con la stecca un paio di volte contro la sponda del biliardo. Ma sul tavolo la battaglia è sempre acerrima, sanguinosa a dispetto della divisa di prammatica: pantaloni neri, panciotto e camicia, con tanto di farfallino. Un errore, uno solo, e perdi il frame e magari la partita. Perché lo snooker è gioco che non perdona e che per questo richiede una concentrazione feroce.
Concentrazione, certamente, ma non solo: anche inventiva, anche braccio. All’inventiva si deve ricorrere di continuo per recuperare una posizione, sottrarsi a una difesa rognosa dell’avversario, tornare all’attacco. Al braccio per sfoderare colpi ampi e larghi che sbattono contro un nugolo di sponde pur di trovare una bilia nascosta o spingere in buca una bilia della massima difficoltà. Ed è per tutto questo che lo snooker è gioco silente ma spettacolare, minuzioso ma furioso, di cervello e potenza, astuzia e strategia. Che non conosce e non concede tregue. Interminabile, molto spesso. Una partita può comporsi anche di 19 frame. Un frame può durare una dozzina come quaranta e più minuti. Fate i vostri calcoli. Nei tornei più importanti le partite dei turni finali sono divise normalmente in due sessioni, del pomeriggio e della sera, e possono andare avanti come niente dalle sei alle otto ore. Una sfida durissima sul piano psicologico che si consuma in un silenzio claustrale punteggiato da applausi – si applaude a tiro scoccato, quando il tiro lo merita, si sta zitti in tutto il resto del tempo – di sale capaci di ospitare fino a duemila spettatori compresi come pochi del loro essere spettatori, capaci però di fiondarsi in piedi per applaudire a piene mani al termine di una partita, com’è successo per la vittoria di Judd Trump al Northern Ireland Open, torneo full ranking che si è giocato dal 22 al 29 ottobre allo Waterfront Hall di Belfast.
Il campionato del mondo distribuisce quasi due milioni di sterline. Attualmente in cima alla graduatoria c’è Ronnie O’Sullivan
Già, perché come per tutti gli sport anche lo snooker ha bisogno di eroi e ne crea, grandi giocatori che infiammano le platee. Il trentaquattrenne inglese di Bristol Judd Trump è stato capace di vincere gli ultimi tre tornei full ranking consecutivamente svariando in un mese dall’Inghilterra alla Cina all’Irlanda del nord, 20 partite senza mai perdere: tutti record, nello snooker moderno. Era stato già numero uno del mondo tra il 2019 e il 2021, poi aveva avuto un periodo di appannamento, ora è tornato ad essere l’uomo da battere. Con lui il plurivincitore di sempre, Ronnie O’Sullivan, sulla scena da decenni, ben sette titoli del mondo nel palmares, capace di chiudere un frame in una manciata di minuti, scoccando tiri al ritmo di 10 secondi, con la sicurezza di chi potrebbe giocare a occhi bendati. E poi lo scozzese John Higgins, fisico da impiegato del catasto di mezza età, quattro titoli mondiali, solido e razionale, geometrico, cartesiano. Non così psicologicamente solido invece il bello del circuito, il biondo australiano Neil Robertson, capace tanto di grandi acuti come di grandi depressioni. Solidissimo invece Mark Selby, aria da sfinge e gioco granitico grazie alla sopraffina capacità di mettersi in difesa, senza scoprirsi, aspettando con cinese pazienza l’errore dell’avversario.
A proposito di cinese: ma dove sono i cinesi, in questo quadro? La migliore posizione raggiunta da un giocatore cinese nel ranking mondiale è il sesto posto di Zhao Xintong nel 2022. Oggi il primo cinese del ranking è solo sedicesimo, ma i cinesi possono vantare ben undici giocatori nelle prime cinquanta posizioni del ranking mondiale, staccando di molto il Galles (5) e la Scozia (4) per posizionarsi dietro alla sola Inghilterra (ben 24 giocatori). Un ranking che viene aggiornato secondo un meccanismo che più spicciamente capitalistico non si può (sarà anche per questo che ha attecchito così bene in Cina?): i soldi vinti dai singoli giocatori nei tornei full ranking. Questi tornei, che nell’attuale stagione 2023-2024 sono 17, dispensano premi in lungo e in largo. Il campionato del mondo distribuisce quasi due milioni di sterline, delle quali 250 mila al vincitore. Attualmente in cima alla graduatoria ci sono Ronnie O’Sullivan, il belga Luca Brecel e Judd Trump, racchiusi in appena 10 mila sterline sulle quasi 900 mila guadagnate nel corso dell’anno, con Trump che ha messo la freccia del sorpasso.
Non sono in pochi a pronosticare il balzo di giocatori cinesi nei prossimi anni nelle prime posizioni del ranking, anche grazie alla loro giovane età. Niente di meglio, se così fosse: il loro arrivo nelle posizioni più alte del ranking aggiungerebbe nuovo appeal allo snooker, che ha bisogno di un vero contendente allo strapotere inglese. Chissà se la Cina sarà capace di tanto. Che ci provi è sicuro. Che il gioco incontri la way of life cinese, se ce n’è uno, altrettanto. Cosicché è possibile giungere a una conclusione non da poco, giacché scantona per così dire dallo stretto ambito del gioco: se si dovesse cercare qualcosa, attività o aspirazione, tendenza o valore, sentimento collettivo o appunto stile di vita capace anche soltanto di avvicinare due paesi come l’Inghilterra e la Cina che più lontani non si può, bene allora si dovrebbe puntare il dito sullo snooker. Negli anni Settanta c’è stata la diplomazia del ping-pong tra americani e cinesi, difficile che possa essercene una dello snooker tra inglesi e cinesi, occidente europeo ed est asiatico. Ma non si può mai dire. E comunque un intreccio di scambi come questo dello snooker ha un suo peso che non è unicamente sportivo.
Due appunti finali. Primo appunto: in Italia lo snooker arranca, sia perché da noi il biliardo ha perso punti in generale, sia perché veniamo da un tradizionale biliardo con birilli ch’è nella nostra storia. Ci provano a Torino, con risultati che avanzano con circospezione.
Secondo appunto: quando fu inventato nella colonia indiana, snooker era il termine per apostrofare una recluta e per di più imbranata. Un dispregiativo per dare il nome a uno sport per allora aristocratico. Questi inglesi.
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