Il Foglio sportivo
Quel gol a Wembley per tutti i camerieri. Intervista a Fabio Capello
Cinquant’anni fa il successo della Nazionale in casa degli inglesi grazie alla rete del centrocampista: “Neppure loro hanno dimenticato quella notte”
La sera del 14 novembre 1973, al Wembley Stadium, mancavano cinque minuti al termine di un’Inghilterra-Italia ancora ferma sullo 0-0, quando gli Azzurri, per quasi tutto il secondo tempo costretti a difendersi dal rabbioso e confuso assedio dei bianchi, sventarono l’ennesima insidia da calcio d’angolo e fecero ripartire l’azione. Dal vertice dell’area piccola Zoff appoggiò a Causio che avanzò di qualche metro sull’out destro. Rivera arretrò, chiamò palla e, dopo aver attirato il pressing di due avversari, se ne liberò passandola a Spinosi che vide scattare sulla linea di centrocampo Capello e lo servì nello spazio. Capello fece scorrere la palla e, con un tocco d’esterno a evitare il contrasto di un difensore, allargò il gioco verso Chinaglia, in posizione di ala destra. Arrivato sul lato corto dell’area di rigore, il numero 9 azzurro puntò il capitano inglese Bobby Moore, fintò il cross e scattò sul fondo, guadagnandosi tempo e spazio necessari per calciare forte in mezzo. Non era un tiro, non era un cross e Peter Shilton, il portiere inglese vestito di giallo, riuscì soltanto a deviare la palla che finì all’altezza della linea dell’area piccola. Qui, tra il terzino destro Madeley e lo stopper McFarland, si trovava Fabio Capello che aveva seguito il contropiede: per evitare che la palla gli rimbalzasse addosso, con una buffa torsione, il numero 8 si limitò a opporre all’impatto della sfera l’interno del piede destro. Bastò per far rotolare la palla in rete: nulla poté l’estremo tentativo di salvataggio in tuffo di Shilton. Esultò Capello, esultò Chinaglia, esultarono tutti gli altri come esultavano i calciatori di cinquant’anni fa: un urlo liberatorio, le braccia al cielo, oppure tese coi pugni chiusi verso terra, come a scaricare l’emozione e la tensione nervosa. Gli assalti a testa bassa degli inglesi negli ultimi minuti non servirono a niente: Inghilterra 0-Italia 1. Una vittoria storica.
“Sì, ancora oggi incontro qualcuno che mi ricorda la felicità che provò nell’assistere a quel gol. Non solo alla televisione – racconta Fabio Capello – Quella sera allo stadio c’erano moltissimi italiani che lavoravano a Londra. Anche per me il gol di Wembley ha un significato particolare per la gioia di aver reso felici in quel momento molte persone. I giornali inglesi avevano dato un gran risalto al match. C’era più di un motivo per loro per considerare quella partita molto più che un’amichevole…”.
L’Inghilterra infatti doveva ancora digerire l’eliminazione subita nei gironi di qualificazione per la Coppa del Mondo del 1974. Poche settimane prima, proprio a Wembley, gli inglesi non erano riusciti a battere la Polonia che sarebbe stata tra le squadre-rivelazione dei Mondiali in Germania Ovest.
“Quello stesso giorno la principessa Anna, figlia della regina Elisabetta, si era sposata – continua Capello – La cerimonia era stata trasmessa in mondovisione dall’abbazia di Westminster. I giornali non parlavano d’altro: dicevano che, come regalo di nozze, la Nazionale inglese aveva promesso alla principessa la vittoria contro l’Italia. E poi avevano montato ad arte la polemica sui camerieri. A Londra migliaia di italiani emigrati lavoravano nei ristoranti e nei bar come camerieri e così ci avevano definito “la Nazionale dei camerieri”. Non sapevano che era il modo migliore per pungolare il nostro orgoglio…”. Infatti. Grazie al gol di Fabio Capello i “camerieri italiani” conquistarono Wembley e batterono gli inglesi a casa loro. Non era mai successo. Soltanto cinque mesi prima, il 15 giugno 1973, a Torino, era arrivata la prima vittoria azzurra contro gli inglesi per 2-0. Anche in quel caso ci fu lo zampino di Capello che raddoppiò il vantaggio di Anastasi. Quella era la nona partita tra Italia e Inghilterra: quattro volte avevano vinto gli inglesi e le restanti quattro partite erano finite in parità. Da quel momento si invertì la tendenza: ora le statistiche recitano 31 match disputati, 11 vittorie italiane – tra cui, nel 2021, la finale dell’Europeo 2020, proprio a Wembley – , 11 pareggi e 9 sconfitte.
“Venivamo da un ottimo momento – riprende a raccontare Capello – Prima di Wembley, ci eravamo qualificati per la Coppa del mondo e, oltre agli inglesi, avevamo battuto 2-0 anche il Brasile, e avevo segnato anche in quell’occasione. Sì, è vero, si trattava sempre di incontri amichevoli, ma all’epoca si giocava molto meno di adesso e intorno alle cosiddette ‘amichevoli di lusso’ delle nazionali c’era sempre grande attesa. Giocare contro tedeschi, brasiliani, inglesi, soprattutto in casa loro, ci caricava molto. Sapevamo inoltre che quel 14 novembre ricorreva l’anniversario di un’altra partita storica tra Inghilterra e Italia, quella che i giornali – perché in quegli anni certe cose le sapevi solo se le leggevi o se qualcuno te le raccontava, mica come adesso che basta aprire Internet per avere quasi tutto a portata di mano – chiamavano ‘la battaglia di Highbury’, giocata nel 1934 e persa per 2-3, ma con un uomo in meno e con grande onore, dagli azzurri di Pozzo, all’epoca campioni del mondo in carica. E quindi volevamo fare bella figura anche per questo. Certo, Wembley metteva soggezione. Nessuno di noi ci aveva mai giocato, tranne Rivera che, giovanissimo, dieci anni prima col Milan aveva vinto la Coppa dei Campioni. Ma eravamo consapevoli della nostra forza e lo dimostrammo. Purtroppo di lì a pochi mesi, alla vigilia dei Mondiali di Germania, quel gruppo si incrinò e fu un fallimento. Fummo eliminati nel girone proprio dalla Polonia che aveva fatto fuori l’Inghilterra nelle qualificazioni”.
Dopo quel Mondiale, la carriera azzurra di Capello – 32 partite e ben 8 gol – fu frenata dai ripetuti infortuni al ginocchio che gli avrebbero impedito di fare parte del gruppo vincente di Bearzot. Ma i rimpianti non fanno parte del modo di pensare di “don Fabio”, che parla secco, diretto e senza fronzoli, come quando giocava o allenava.
“Dal calcio ho imparato molto, prima come calciatore e poi come allenatore. Mi ha permesso di viaggiare e di osservare. Di avere modelli da cui imparare, come mi insegnava mio padre Guerrino, maestro elementare. Da giovane calciatore andavo a vedere dal vivo Suarez e Bulgarelli. Osservare e imparare dalle tecniche di training di Helenio Herrera, che era avanti decenni, e dalla sagacia e la freddezza di Liedholm mi è servito tantissimo quando sono diventato allenatore. Girare il mondo mi ha portato a confrontarmi con altre culture, altre abitudini. Durante i quattro anni in cui sono stato ct dell’Inghilterra ho imparato molto dalla loro cultura dello sport, che qui in Italia ce la sogniamo. Anche se i miei amici inglesi hanno sempre minimizzato quel gol di Wembley dicendo “It was just a friendly match!” credo però che neppure loro se lo siano dimenticati…”.