scarpe al chiodo
L'addio al calcio di Fabio Quagliarella
L'attaccante dice di essere "in condizioni fisiche inaccettabili per scendere in campo". Una carriera fatta di colpi di scena e colpi di tacco con 751 partite e 244 reti, di cui 182 in Serie A
S’è congedato in punta di piedi. Come se fosse il suo ennesimo gol dell’ex, senza esultanza per rispetto dell’avversario: il tempo, questa volta. “Sono in condizioni fisiche inaccettabili per scendere in campo”, dichiara Fabio Quagliarella a Sky. “Dunque sono costretto a smettere”. Lo fa a metà novembre, durante la pausa nazionali, a margine di una trasmissione che parla di tutt’altro. Ma pur sempre di domenica. Il suo giorno, da 24 a stagioni a questa parte.
Fabio Quagliarella ha annunciato il ritiro a 40 anni, dopo 751 partite e 244 reti, di cui 182 in Serie A: soltanto un passo dietro Batistuta, soltanto Immobile davanti a lui fra i marcatori tuttora in attività. Eppure non bastano i numeri per raccontare il giocatore che è stato e soprattutto che avrebbe potuto essere.
Tre immagini clou, a ritroso, nel cuore di una carriera fatta di colpi di scena e di tacco.
19 dicembre 2010: ‘quagliarellata’ in acrobazia contro il Chievo e nono gol in un girone d’andata. È lui il trascinatore di quella Juve. Due settimane più tardi si rompe il crociato. Quando rientra, da gregario, i bianconeri vinceranno il primo dei nove scudetti consecutivi. Ma intanto il danno era fatto.
24 giugno 2010, Mondiali sudafricani. Col numero 18 – eccezione azzurra, al 27 sempre indossato in ricordo dell’amico Niccolò Galli – Quagliarella si inventa una magia delle sue: pallonetto da fuori area incastonato all’incrocio. La Fifa lo inserirà tra i 10 gol più belli del torneo. Ma suo malgrado – basta la parola Slovacchia – il danno era fatto: la Nazionale di Lippi fu eliminata ai gironi.
30 agosto 2009: lo scugnizzo Fabio, da Castellamare di Stabia, debutta al San Paolo con la maglia del Napoli. Più della doppietta, rimbomba l’allucinante traversa colpita da centrocampo, stop e tiro di maradoniana memoria. “Non scomodiamo il dio del calcio”, dice lui a fine gara. Ecco. Il Quagliarella profeta in patria s’è fermato lì. Dopo un’annata in chiaroscuro viene venduto alla Juventus. ‘O traditore, lo silura la piazza. Anni dopo salterà fuori la verità, lo stalker poliziotto, una persecuzione lunga un decennio sulla vita di Quagliarella. Quando l’attaccante rivela l’incubo, passa in un amen da infame a martire del pallone. Ma di nuovo, e peggio: il danno era fatto.
Nonostante tutto, Quagliarella si è sempre rialzato. E ha scandito un territorio altro, rispetto a quello del calciatore viziato e suscettibile ai vizi. È emerso dalla gavetta – giovanili del Torino, Florentia Viola in C2 – senza bruciare le tappe. Ha militato in sei squadre di Serie A, tra corsi e ricorsi. Spesso scontentando tutti, segnando nella terra di nessuno: per esempio contro il suo Napoli, in maglia granata, implorando il perdono dei suoi vecchi tifosi e così finendo invece nel mirino di quelli granata che lo porteranno alla cessione nel febbraio 2016.
Fabio Quagliarella trova il suo porto sicuro a Genova, nella Sampdoria. Sette stagioni e mezzo con molti gol, 102 in campionato, e più di una soddisfazione personale: candidatura al Puskas Award, capocannoniere del campionato con 26 reti e terza scarpa d’Europa dietro Messi e Mbappé. Dopo nove anni si riaprono così le porte della Nazionale. Quagliarella viene chiamato da Mancini, segna una doppietta verso Euro 2020 e rischia fino all’ultimo di far parte della spedizione. Ma la pandemia sposta il torneo di un anno. Buon per Raspadori, classe 2000. Non per Quagliarella, leva calcistica dell’83.
Ci sono goleador nati per accumulare trofei. Altri spostano gli equilibri del marketing. Altri ancora si trovano al posto giusto nel momento giusto. Fabio Quagliarella invece lascia in dote un’estetica tutta sua: fatta di rovesciate, raffinatezze, volée impensabili e ancora meno eseguibili. Figlie del piacere del bello. In fondo è andata bene così.