Royston Drenthe ha smesso con il calcio, si è divertito
Era arrivato al Real Madrid giovanissimo per diventare l'erede di Roberto Carlos. Non lo è stato. La sua è una storia di passioni vissute in maniera intensa, senza mai negarsi: se qualcuna di queste non coincideva con il pallone, beh, peggio per il pallone
Royston Drenthe è uscito di scena, stavolta per davvero. Di ritiri ne aveva già annunciati diversi, pur avendo solamente 36 anni: classe 1987, come Lionel Messi che ha appena alzato il Pallone d’Oro e Karim Benzema che ha incantato l’Europa fino a un paio di mesi fa, o come Novak Djokovic fresco trionfatore alle Atp Finals. Drenthe ha detto basta dagli sprofondi del Kozakken Boys, squadra olandese il cui nome pare quello di una squadra di Fantacalcio di fan di Libor Kozak. Ha detto basta e lo ha fatto col cuore leggero di chi si è divertito, non con quello pesante di chi ha dissipato un talento fisico che quando aveva vent’anni sembrava debordante. La sua è una storia di passioni vissute in maniera intensa, senza mai negarsi: se qualcuna di queste non coincideva con il pallone, beh, peggio per il pallone.
Ha fatto il rapper con il nome d’arte di Roya2Faces, nel 2016, ritirandosi dal calcio per due anni: amava e ama la musica, ma l’ispirazione non è cosa che arrivi con uno schiocco di dita, sarebbe servita dedizione e non poteva conciliarsi con un pallone che rotola. Surreale, per chi a 18 anni era già parte della rotazione del Feyenoord e a 20 era già al Real Madrid, pagato 14 milioni di euro per diventare l’erede di Roberto Carlos dopo un folgorante Europeo Under 21? Punti di vista. Non ha saputo mischiare la vita da calciatore e quella personale, ha ammesso di non essere stato in grado di interpretare i doveri di un professionista, di aver preferito fare bagordi con Robinho rispetto ad allenarsi come avrebbe dovuto in campo. Voleva essere il migliore, ma non era pronto per esserlo tutti i giorni. Gli piaceva il calcio ma anche la vita, e allora ha cercato di viverla senza pensare al resto.
Dalla musica al cinema il passo è stato breve, ha interpretato un narcotrafficante in una serie tv olandese che ha fatto ascolti da record in patria. Ha avuto quattro mogli e sette figli e tutti continuano a indicarlo come il talento sprecato, e a leggere il suo peregrinare in giro per l’Europa oggettivamente c’è da sorridere, sembra la partita a Risiko di un pazzo: dopo il Real, esperienza chiusa dal duo Mourinho-Valdano, ha messo in fila Hercules ed Everton, Alanja Vladikavkaz – e viene da chiedersi cosa mai potesse fare uno come Drenthe a Vladikavkaz, tant’è che in campo l’hanno visto poco e in città ancora meno – e Reading, Sheffield Wednesday ed Erciyesspor. E poi Baniyas, negli Emirati Arabi Uniti, prima di fermarsi e iniziare l’avventura da rapper, figura per la quale aveva il physique du role perfetto.
Un po’ di magone a guardarlo nella sua prima incarnazione ancora viene fuori, un candelotto di dinamite pronto a esplodere sulla fascia sinistra, nipote di Edgar Davids e cugino di Gini Wijnaldum. Terzino e ala, centrocampista all’occorrenza, difficile da incasellare anche in campo oltre che nella vita, Drenthe è fondamentalmente un uomo che si è divertito, consapevole di aver sprecato troppe occasioni ma anche che nella vita c’è un tempo per tutto, e non sempre si riceve al momento giusto quel che il destino manda. “Oggi che sono un uomo mi rendo conto che non sono stato al Madrid nel modo giusto, ma non sarai mai pronto davvero per un club come il Real”, ha detto alla Gazzetta un anno fa provando ad autoassolversi. Nel frattempo era tornato a giocare a calcio tra i dilettanti, perché spesso, come diceva Gaber, per vivere davvero bisogna andarsene lontano: senza il pallone, Royston si era ricordato di quanto gli piacesse. Qualche tempo fa aveva iniziato a lavorare in un ospedale, con i malati di demenza, perché la sua famiglia aveva sempre avuto a che fare con il supporto agli altri: un modo per restituire quello che il mondo gli ha dato, per sentirsi una persona normale dopo anni in cui era stato solo additato come quello che aveva sprecato qualcosa, invece di metterlo a fuoco. Si può essere pessimi professionisti e avere pochi rimpianti? Forse sì, a patto di essersi divertiti. E in pochi, almeno stando alle sue parole, si sono divertiti come Royston Drenthe.
Il Foglio sportivo - In corpore sano