ciclismo
Sante Gaiardoni, il Vigo, l'osteria. Addio a uno dei più forti pistard della storia del ciclismo
È stato uno dei grandi protagonisti del ciclismo su pista quando i velodromi erano pieni zeppi di appassionati. È stato il grande rivale di Antonio Maspes e chissà se ora il velodromo Vigorelli si ricorderà di lui, aggiungendo il suo nome e cognome dopo quello di Maspes. Perché all'impianto di Milano, "il Sante era uno di casa"
Ci sono stati anni nei quali si andava al Vigo perché c’era niente di meglio del Vigo. Il Vigo era, è, il velodromo Vigorelli, a via Arona 19, Milano. Il Vigo all’epoca era un’istituzione per il ciclismo e pure per Milano: al Vigo ci passava la storia. E mica solo quella dello sport. Ci correvano i corridori, ci venivano a boxare i pugili importanti, ci cantavano e suonavano. Pure i Beatles, Frank Zappa, i Clash e i Led Zeppelin. E tra i corridori ce ne erano due che più degli altri facevano battere i cuore agli appassionati: Antonio Maspes e Sante Gaiardoni.
Antonio Maspes era il più forte di tutti, forse di sempre, almeno su pista, almeno nella Velocità. Era classe, furia, arguzia e tenacia. Sante Gaiardoni pure, soprattutto cocciutaggine, era l’unico che riusciva a tenere testa a Maspes, a fargli perdere la testa. E quando si andava al Vigo perché c’era niente di meglio del Vigo, il meglio al Vigo erano quei due: uno contro l’altro nella Velocità. E mica era sempre veloce la loro Velocità: a volte si bloccava in lunghi e appassionanti surplace, in immobilità assoluta.
Il velodromo Vigorelli è da oltre vent’anni intitolato ad Antonio Maspes. Chissà se un giorno potrà essere intitolato ad Antonio Maspes e Sante Gaiardoni, ora che il secondo ha raggiunto il primo anche nella morte.
Sante Gaiardoni era veronese per nascita, ma del Vigo per adozione. Perché al Vigo, in un modo o nell’altro, c’ha vissuto. “Era uno di casa il Sante. Talmente di casa che a volte mio padre sembrava parlasse di me e invece parlava di lui. E non era perché abbiamo lo stesso nome, era perché al Sante mio padre voleva bene come un figlio”, dice al Foglio Sante Oltani, detto Sandrino, perché “ero piccino, ma soprattutto perché Sante il grande era sempre stato lui, Gaiardoni”.
C’era un tempo a via Arona, Milano, “a trenta passi circa dal Vigo”, un’osteria dove ci andavano quelli della fiera campionaria, quelli dell’autorimessa e ricambi Fiat e pure i ciclisti. E tra loro, tra i ciclisti, Sante Gaiardoni. “Era sempre là quando correva o si allenava. Arrivava in tuta, si faceva fare un panino o un piatto di polenta col bollito, perché mia madre era veronese e il bollito lo faceva alla veronese e Sante diceva che gli ricordava casa, si beveva una brocchetta di rosso e poi si faceva riempire il fiasco per la cena, lo metteva in borsa, saliva in bicicletta e tornava a casa”, ricorda Sante Oltani.
“Era simpatico. Aveva la battuta pronta, a volte la battutaccia, quella sporca, e a mia madre gli partiva la ramanzina. Mio padre invece rideva sempre. Aveva soprattutto delle gambe incredibili. Una volta, era estate, si presentò in pantaloncini e io mi sedetti al suo fianco come facevo spesso. Notai che il mio bacino era più piccolo di una sua coscia: avevo una dozzina d’anni”. Aveva gambe potenti e violente sui pedali, la sua violenza l’ha incanalata sempre e solo tutta lì. Si narra che almeno in tre occasioni spaccò il movimento centrale della bicicletta per la troppa forza. E una volta pure la bicicletta. E che alle Olimpiadi di Roma 1960 i tecnici della Nazionale di ciclismo su pista non erano preoccupati che potesse perdere la finale del chilometro da fermo, ma che potesse rompere la bicicletta iniziando a pedalare. E chi lì era presente, come Giacomo Fornoni, ricordò a lungo il sospiro di sollievo del commissario tecnico della Nazionale del ciclismo su pista Guido Costa, quando il telaio e la meccanica resistette. Vinse due ori a Roma.
Violento sui pedali, ma adorabile fuori: “Era mite, buono. Una chiacchiera non la rifiutava mai. E se c’era da dare una mano, una mano la dava sempre. Ricordo che quando morì mio padre si fece trecento chilometri pur di non mancare al funerale”.
Il Foglio sportivo - In corpore sano