in Brasile
Il crollo ampiamente previsto del Santos
Il club che fu di Pelé è retrocesso dalla Série A brasiliana, atto (per ora) finale di una lunga crisi finanziaria e dirigenziale. La miglior sintesi di quanto accaduto l'ha data un tifoso a Tv Globo: “L'unica fortuna è che Pelé si è risparmiato almeno questa umiliazione”
“L'unica fortuna è che Pelé si è risparmiato almeno questa umiliazione”, ha detto un tifoso mentre usciva dall'Estádio Urbano Caldeira a Tv Globo. Aveva gli occhi tristi e rossi di chi aveva pianto. Il Santos aveva appena perso la partita che non doveva perdere. In casa contro il Fortaleza doveva conquistare i tre punti, invece la partita è finita 1-2 e il Santos è retrocesso in seconda divisione. Dal 1987, da quando la Série A brasiliana è diventata un campionato (prima era soltanto un torneo che faceva giocare contro le migliori squadre dei campionati statali), per altro con un colpo di mano alla maniera della Superlega europea mai nata, il Santos era sempre stato in prima divisione. E in prima divisione era sempre rimasto nel campionato paulista da 111 anni a questa parte.
Fino a un decennio fa pensare a una Série A senza il Santos sembrava impossibile. Il club che fu di Pelé, Pepe, Zito, Gilmar, Carlos Alberto, Clodoaldo e poi Robinho, Neymar, Rodrygo, non poteva che giocare nel massimo campionato, si diceva con una certa sicumera. E sì che il Santos era club gonfio di successi polverosi, aveva vinto tanto, ma tanto tempo prima. Aveva più fascino che titoli, viveva ancora della memoria della squadra delle meraviglie, quella di Mengalvio, Coutinho e Pelè, di Pepe, Zito e Toninho, quella che trionfava in Brasile e in Sud America, che alzava al cielo due Coppe Intercontinentali ed esportava il bel calcio brasiliano in tutto il mondo.
Storia e blasone contano poco o nulla nel calcio, quando sono utilizzate come parafulmini. E il Santos è dagli anni Ottanta che si è nascosto dietro al più grande, Pelé, per raccontare al Brasile e al mondo di essere la più grande squadra del Brasile.
Come conta poco o nulla avere in squadra uno dei più interessanti giovani attaccanti brasiliani, Marcos Leonardo, se poi è il solo giocatore di talento in un club dove il talento manca sia in campo che dietro alle scrivanie. È da decenni che i dirigenti del Santos sbagliano acquisti, spendono tanto e racimolano poco, sperperano i milioni di euro che "portano" trasferendosi in Europa i migliori talenti.
È da vent'anni che il Santos è in crisi finanziaria, che, ad anni alterni, rischia di fallire e che poi si salva in qualche modo, di solito vendendo qualche giocatore che nonostante uno tra i budget meno ricchi destinato a settore giovanile e osservatori si ostina a entrare nelle giovanili del club e sognare vittorie in maglia bianca.
Il Santos non vince un campionato paulista dal 2016, un campionato brasiliano dal 2004, una coppa internazionale dal 2012. Negli ultimi dieci anni ha cambiato 27 allenatori. Tutti colpevoli, secondo le presidenze che si sono seguite, dei risultati non eccezionali del club.
Il presidente attuale, Andrés Rueda, era stato eletto per le sue profonde conoscenze matematiche, è laureato in matematica ed è stato professore universitario. Ha sbagliato i calcoli. Non è il solo. Li hanno sbagliati tutti i suoi predecessori, tutti finiti a processo per eccesso di creatività nei conti del club. Tutti finiti per maledire Luis Álvaro de Oliveira Ribeiro, il presidente degli ultimi successi, costruiti su solide fondamenta di cartapesta e carte stracce e pagherò mai pagati.
Il Foglio sportivo - In corpore sano